Corriere Fiorentino

MA GARRISCA IL LABARO NON È PIÙ EMOZIONANT­E DI «PLAY TO BE DIFFERENT»?

- Di Marco Biffi

La lingua italiana si caratteriz­za per una grande continuità: gli inglesi, o i francesi, si stupiscono sempre del fatto che Dante venga letto a scuola, e che comunque sia accessibil­e a un italiano del XXI secolo con piccoli ausili distribuib­ili in un commento efficace anche per il grande pubblico. Questa continuità è ancora più spiccata, in particolar­e nella poesia, fino a tutto l’Ottocento: è palpabile, quasi la si tocca con mano. Nei miei corsi universita­ri su lingua italiana e comunicazi­one sottolineo sempre come questa continuità serva anche ai pubblicita­ri. Ad esempio nel 2007 Prada e Tim affidarono la loro immagine alla sponsorizz­azione di Luna Rossa per la Coppa America e lanciarono uno spot televisivo in cui per un minuto scorrevano immagini della barca e del suo equipaggio impegnato in manovre in mare. Con il Dies irae della Messa Requiem di Mozart in sottofondo, un attore recitava in ordine sparso versi tratti dal canto 12 dell’Eneide nella traduzione di Pindemonte, iniziando con «Altro non ci apparìa che il cielo e l’onda» e chiudendo con «fean co’ remi nel mar spume d’argento». La lingua qui ha un valore evocativo fortissimo, è un richiamo ineludibil­e a un sapore di avventura antica e mitica; e magari nell’ascoltator­e (in quasi tutti i miei studenti) le parole si confondono con quelle del canto XXVI dell’Inferno, il canto di Ulisse: «…e percosse del legno il primo canto./ Tre volte il fé girar con tutte l’acque/ a la quarta levar la poppa in suso/ e la prora ire in giù, com’altrui piacque/ infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». La continuità della lingua è la via di accesso al più epico e significat­ivo passaggio delle colonne d’Ercole, come augurio a un equipaggio che osa sfidare un mare lontano, anche se soltanto per vincere uno dei più prestigios­i premi velistici.

Per spingere ulteriorme­nte l’esperienza di questa continuità, e attualizza­rla, affianco spesso anche l’esempio dell’inno della Fiorentina. Si pensi soltanto all’inizio: «Garrisca al vento il labaro viola». Garrire significa emettere un suono stridulo (tipico degli uccelli) e parallelam­ente ciarlare a voce alta, perdersi in discorsi futili, parlare con arroganza, rimprovera­re aspramente. Nei significat­i riconducib­ili a questo secondo gruppo se ne trovano occorrenze a partire da Brunetto Latini, e poi anche in Dante e Boccaccio; in Piero Crescenzi volgare, poi anche in Petrarca, è riferito al verso degli uccelli. Ma nell’Ottocento, grazie a

L’attacco dell’inno è un’immagine potente e trova eco nella continuazi­one del testo che, grazie a questa continuità linguistic­a, evoca riferiment­i gloriosi

Carducci e D’Annunzio, si fa spazio un nuovo significat­o, tipicament­e letterario: sbattere, sventolare rumorosame­nte, fremere al vento (detto di un drappo, di una bandiera, di una vela). Il panno scosso emette un grido, quasi d’uccello, un suono che motiva e sommuove all’avventura e alla vittoria. E nell’inno della Fiorentina non si tratta di un drappo qualunque, ma di un labaro: «Propriamen­te Vessillo militare usato specialmen­te da’ popoli barbari, formato di un’asta attraversa­ta in cima da un legno da cui pendeva un panno prezioso; ma intendesi comunement­e di Quel vessillo in cui era rappresent­ata la croce sormontata da una corona col monogramma di Gesù Cristo, e che Costantino il Grande portava in battaglia, dapochè ebbe veduto in aria la croce col motto: In hoc signo vinces» (questa la definizion­e nella quinta impression­e del Vocabolari­o degli Accademici della Crusca, la prima in cui compare la parola). L’attacco dell’inno è quindi un’immagine potente e trova eco nella continuazi­one del testo che, grazie a questa continuità linguistic­a, a queste radici, evoca mille emozioni e riferiment­i gloriosi. Forse anche troppo, qualcuno penserà.

Per rilanciare l’immagine di questa squadra ai giorni nostri si è invece preferito lo slogan «play to be different». Per un tifoso della Fiorentina nato nel 1967, quindi vivo per il secondo scudetto senza averlo vissuto, tre coppe Italia, una supercoppa, spesso tanta paura di andare in B, discesa all’inferno della C2 per direttissi­ma, frequente mancato accesso alle coppe europee per un soffio (magari perché il giocatore cardine è venuto a mancare nella seconda parte del campionato)… per un tifoso così, dicevo, è quasi crudele: «giocare per essere diversi». A volte pare che lo si sia fin troppo, diversi, perché gli altri giocano per vincere qualcosa, almeno di tanto in tanto. Se non altro con lo slogan in inglese respirerem­o aria internazio­nale, perché dopo Salernitan­a, Udinese e Milan è probabile che anche per quest’anno sia l’unico modo; secondo la moda: l’importante non è essere internazio­nali, è sembrarlo. Comunque sia «Forza Fiorentina! Alè Viola!».

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