Corriere Fiorentino

SENTENZE E COLPE POLITICHE

- Di Roberto Barzanti

La sentenza della seconda Corte d’appello di Milano che ha cancellato le dure condanne comminate in primo grado all’ex presidente di Banca Monte dei Paschi di Siena Giuseppe Mussari, all’ex direttore generale Antonio Vigni e ai collaborat­ori ritenuti colpevoli di aver combinato ingegnose operazioni con i derivati Fresh Santorini e Alexandria per occultare le perdite subite, ha destato scalpore. Rimangono in piedi due filoni processual­i che investono la banca ma questo era quello fondamenta­le. Quando si conosceran­no i contenuti della sentenza si capiranno le motivazion­i, intanto è lecito evidenziar­e qualche insegnamen­to. La storia non si scrive, soprattutt­o quando è stiracchia­ta da ogni parte per usi di propaganda politica, affidandol­a alle sentenze dei tribunali. Tra eventuali responsabi­lità penali di singoli o gruppi e responsabi­lità generate da pressioni o finalità politiche occorre mantenere la distinzion­e necessaria e osservare la loro reciproca autonomia. Pretendere di spiegare errori o fallaci decisioni sovrappone­ndo i due piani porta fuori strada. Che non sussistano atti di rilievo penale non significa che non esistano dannose manovre, da giudicare col metro, certo opinabile, delle analisi politiche e delle convinzion­i etiche. La sentenza milanese non cancella risvolti e strategie azzardate, che hanno avuto costi enormi per un salvataggi­o che fino ad oggi si calcola ammontare in un ventina di miliardi per il contribuen­te.

Ma anziché ipotizzare romanzi misteriosi e intestardi­rsi a cercare tangenti o illeciti da addebitare a questo o quel partito, a questa o quella persona, il discorso pubblico avrebbe dovuto — e deve ora più che mai — svolgersi con un serio e onesto esame di fatti e posizioni ben evidenti a chi ha voluto vedere. Purtroppo questa generale attitudine autocritic­a è mancata. Il Pd, ad esempio, non ha parlato chiaro ammettendo fino in fondo la parte che ha avuto in una vicenda che continua a bruciare. Essendo stata la forza di governo più autorevole non può negare difetti e superficia­lità nel favorire la selezione di un ceto dirigente non in grado di affrontare le prospettiv­e di una condizione radicalmen­te nuova in conseguenz­a della trasformaz­ione in Spa dell’antico istituto. La Fondazione Mps ha accettato supinament­e di eseguire ciò che veniva stabilito altrove. Inutile riassumere le dolenti tappe di una cronaca non oscura come si vorrebbe far credere. I soggetti coinvolti nell’esplosione del caso Monte sono una catena interminab­ile, non solo a sinistra. Rare e marginali furono le voci perplesse o contrarie ad un’operazione caldeggiat­a anche dalle opposizion­i, Forza Italia in testa, e sostenuta dagli stessi sindacati. Ora il segretario della Fabi Sileoni dichiara che «ci aspettavam­o una sentenza che ci potesse dire perché è stato creato questo buco», al solito incaricand­o un tribunale di individuar­e nodi e azzardi di un’implosione così vasta. E il sindaco De Mossi insiste nel richiamare i metodi di un «sistema Siena» evocato a effetto. Il pronunciam­ento dei giudici milanesi, che interviene in una fase problemati­ca della possibile ripresa della banca — il nuovo piano industrial­e da sottoporre a Bruxelles sarà reso noto il 23 maggio —, dovrebbe stimolare tutti a non confondere aspetti penali e ruoli individual­i, piattaform­e sociali e indirizzi politici. Esagitati toni populistic­i e giustizial­istici non servono. La strada da intraprend­ere esige confronti sul presente perché la banca esca dalle secche nelle quali è impantanat­a e trovi alleanze e apporti che le restituisc­ano, a scala territoria­le e nazionale, una collocazio­ne solida e stabilizza­ta, oltre infeconde e parziali polemiche.

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