Corriere Fiorentino

LA DOMENICA DELLA BISTECCA

- di Alessio Gaggioli

Èstata una domenica di Comunioni nella chiesa di Santa Felicita. I bambini con le tonache bianche, i genitori, i nonni, i parenti e gli amici, tutti emozionati­ssimi, sono cominciati ad arrivare verso le 10.30. Già in piazza c’era un gran daffare. I camerieri dei ristoranti hanno cominciato a portare fuori e apparecchi­are i tavoli — i turisti stranieri, si sa, mangiano a ogni ora — rosicchian­do la piazza in pochi minuti. Fino a quando è arrivato il tocco finale: l’ingresso della chiesa quasi oscurato da un grande tabellone con una maxi bistecca al sangue: «Proposta speciale per due: bistecca fiorentina, con filetto da un chilo e patate arrosto...». Accanto un altro tabellone, con il menu completo in pieno stile acchiappat­uristi: le foto dei piatti. Dall’altro lato della piazza la plastica diversific­azione dell’offerta: un assemblagg­io di tabelloni con le foto delle pizze, il panino al lampredott­o, piatti più o meno tipici e un bel bottiglion­e di Aperol Spritz. Dietro la bottiglia una delle chiese più antiche di Firenze. Laggiù, sullo sfondo. I maxi tabelloni civetta a coprire tutto. Anche la naturale vita di una parrocchia. Anche la possibilit­à di fare le foto della Comunione fuori dalla chiesa, a fine cerimonia.

La bistecca che si prende lo spazio e un pezzettino di un giorno che quei bambini e le loro famiglie non dimentiche­ranno mai. La bistecca come antipasto prima di entrare in chiesa, voltare lo sguardo a destra e tirare un sospiro di meraviglia davanti ai colori sorprenden­ti della Deposizion­e del Pontormo. Inutile riportare i commenti sentiti in piazza. Forse non è nemmeno più utile domandarsi se la parola decoro abbia ancora senso. La sensazione, negli ultimi week end e soprattutt­o in questo appena passato, è che una parte della città non vedesse l’ora di ritirare fuori tutto il vecchio armamentar­io per incassare il più possibile. Due anni di pandemia, di sacrifici, certo, di frasi stucchevol­i — «Ne usciremo migliori», «Il Covid ha dimostrato che Firenze si reggeva su un modello insostenib­ile» e così via... — per poi ritrovarsi davanti ai tabelloni con le bistecche sanguinant­i. Ai menu con le foto dei piatti. Ai frigorifer­i in vetrina straripant­i di carne. Ci siamo risvegliat­i in un centro di Firenze uguale, migliore o peggiore di prima?

Non c’è solo piazza Santa Felicita. C’è la strettoia impraticab­ile di piazza Santa Maria Novella dove tra la fiancata della basilica e i tavolini con turisti che banchettan­o insieme ai piccioni, i treppiedi dei menu fra i piedi, cercano di entrare come in un imbuto i trolley, le carovane e i torpedoni (sono tornati!). Ci sono i tabelloni con pizze e lasagne in piazza Duomo o piazza Signoria. Ci sono i tavolini che vanno oltre i catafalchi di piazza Repubblica, perché i catafalchi non bastavano. Venghino signori, venghino. Sempre di più. È il destino della città? Palazzo Vecchio cerca di valorizzar­e percorsi insoliti, da tempo annuncia di voler introdurre regole per il controllo dei flussi dei turisti, leggi di iniziativa popolare. Il ministro Dario Franceschi­ni ciclicamen­te torna a parlare del Ponte Vecchio a numero chiuso. Forse è una lotta impari, ma la fiducia viene sempre meno, al di là dei reali propositi: Firenze si regge sull’invasione. Vuole — pochi residenti a parte — l’invasione. Ma ci può essere almeno un limite alla decenza? A partire dagli indecenti tabelloni, magari. Si potrebbero davvero curare, almeno e meglio, le piccole cose (che tanto piccole non sono) nel rispetto della città e di una storia a cui non si può sempre e solo chiedere.

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