«È un offrirsi triste e triviale, al pari di una mensa aziendale»
L’INTERVISTA Givone: «Le bistecche facciano un passo indietro rispetto a Pontormo Le scale mobili sono una ferita che alimenterà il turismo mordi e fuggi»
«Il cartellone davanti a Santa Felicita fa impressione. A pensare al povero Pontormo dentro la chiesa... È la nostra città a volersi offrire così, con questa immagine di sé, ai turisti. Un “offrirsi” un po’ puttanesco e triviale. Da mensa aziendale». Così reagisce il filosofo Sergio Givone alle immagini del mangificio in vetrina, acchiappaturisti. E la scala mobile? «Una ferita che alimenterà il turismo mordi e fuggi».
«Tutto mi fanno venire fuorché fame. Anzi, direi che me la tolgono. Più che altro mi fanno salire la tristezza...»
Professor Sergio Givone, anche lei è rimasto ben impressionato dalla selva di locandine e manifesti che pubblicizzano la bistecca e la schiacciata in giro per il centro.
«Il cartellone davanti a Santa Felicita fa impressione. A pensare al povero Pontormo dentro la chiesa, oscurato».
Parliamone, di questa «impressione».
«La prima che salta alla mente è che sia proprio la nostra città a volersi offrire così, con questa immagine di sé, ai turisti. Un “offrirsi” un po’ puttanesco e triviale come un luogo in cui soprattutto si mangia. Il che va anche bene, anch’io lo faccio tre volte al giorno come tutti. Ma da qui a farlo diventare la “firma” di Firenze... Ti fa pensare al turista che dice “ecco, ce la meritiamo proprio una bella bistecca visto che abbiamo fatto la fatica di sorbirci gli Uffizi”».
Spietato. Ma ci sta. Ora però chiediamoci da cosa dipenda questa volontà di «offrirsi» così.
«Dipende anche dal fatto che l’offerta culturale stenta, non si rinnova, non è coraggiosa. Non invoglia a guardarsi intorno con occhi un po’ diversi. È l’offerta culturale che dovrebbe ergersi a tamponare certi fenomeni. Anch’io quando sono stato assessore alla cultura mi sono trovato con questi problemi, speravo di convincere Maggio e Pergola, proprio perché assorbono la stragrande maggioranza dei fondi per la cultura, a osare e aiutare la città a proporre una soluzione. Mi sono trovato questi problemi ma non li ho risolti».
A lei no, ma ai turisti pare che la fame venga eccome.
«Sono talmente affamati che gli vanno bene anche quelle foto e quei cartelli. E poi, diciamocelo: la bistecca alla fiorentina è un falso storico. Non ha niente di “fiorentino”, è sfacciata, l’hanno inventata per compiacere gli americani. È il contrario della toscanità fatta di piccoli miracoli di una cucina che nasce dal niente, come la ribollita».
Lei è molto severo. Ma la città aveva bisogno del ritorno dei turisti.
«Certamente, e anche a noi all’Opera del Duomo ci sembra di rinascere. Era una tragedia prima, e mai sputerei nel piatto in cui mangio. Il turismo è nel destino stesso di questa città, ma se il messaggio che lanciamo è “venite a fare shopping in via Tornabuoni e poi mangiatevi la bistecca” non si va lontano. I turisti sono tornati più affamati di prima a causa del lungo digiuno. Ma noi dobbiamo chiederci se è solo fame di bistecca o se è anche fame di qualcos’altro. È il “qualcos’altro” che stenta a imporsi».
La legge della domanda e dell’offerta dice che il turista domanda shopping, bistecca e street food.
«È vero, ciò che la gente vuole sembra essere questo, ma il turista desidera quello che noi lo induciamo a volere.
Possiamo definirlo un problema di marketing della città: se il tavolino facesse un passo indietro rispetto al Pontormo, se abolissimo tutti i dehors, soprattutto quelli di piazza Repubblica che gridano vendetta, se ci affidassimo solo ai tavolini che la sera rimetti via — sui quali sarei anche di manica larghissima, mettetene quanti ne volete — senza strutture invasive, faremmo un buon servizio all’immagine di Firenze. Invece abbiamo voluto trasformare il centro in una grande mensa aziendale, dove perdi completamente il motivo per cui ti stai sedendo a mangiare da Paszkowski o da Gilli, perché non ne assapori il senso storico ed estetico. La gente seduta a un tavolino fa allegria, quella alla mensa aziendale fa tristezza».
Poi i giovani si lamentano che sedersi ai tavolini costa troppo, e per questo vanno a consumare cibo e bevande sul sagrato di Santo Spirito.
«Hanno ragione anche loro. Non mi scandalizzo che ci si sieda sui sagrati, che un tempo servivano anche per accogliere il pellegrino stanco o il senza tetto. Che ci debbano essere spazi per chi non vuole spendere dieci euro per una bevuta è giusto, e se ne creerebbero molti di più se abbattessimo i dehors».
L’ultima trovata sul piano dell’offerta turistica sembrano essere le scale mobili per arrivare al Forte Belvedere.
«Non meritano nemmeno un commento».
Ma visto che tanto deplora il turismo mordi e fuggi...
«È esattamente quello il punto. Oltre al fatto che snaturerebbero l’esperienza della salita al Forte, creando una ferita sul colle delle Rovinate, tutto ciò che semplifica e velocizza la visita aumenta il turismo mordi (la bistecca) e fuggi. Bisogna farle lentamente le salite, anzi lentissimamente. Altrimenti non ti godi il senso per cui sali. Perché andiamo al Forte? A mettere la bandierina “sono stato qui” con il selfie di rito o perché ci stiamo bene?».
L’esperienza della salita al Forte va fatta lentissimamente, altrimenti non ti godi il motivo per cui si sale: che non è piantare la bandierina e farsi i selfie, ma stare bene