SCALINATELLE E PAROLE ALL’ARIA
C’era una volta «Scalinatella», una canzone napoletana di tanti anni fa che forse alcuni ricordano. La rese famosa Roberto Murolo: è una storia d’amore su una scala che sale al cielo e scende al mare, come dicono le sue parole, ma non si è mai capito dove fosse realmente, forse a Positano o forse chissà... Fra qualche tempo, però, un entusiasta governatore o chi per lui (meglio di tutti un sindaco con ascendenze partenopee) potrebbe commissionare un testo a un cantautore di oggi su una nuova scalinatella di cui si saprà con certezza dov’è. Per distinguerla da quella di Murolo si avvarrà dell’aggettivo mobile: chi scrive non sa se goda di una versione napoletana, ma tant’è: fra San Niccolò e il Forte di Belvedere avremo la nostra «scalinatella», ancorché meccanizzata e a zig zag. È probabile che questo vecchio progetto debba passare attraverso verifiche complicate per varie questioni. Prima di tutto per quanto riguarda la tenuta della collina che dalla parte opposta non avrebbe retto all’impatto con la cremagliera a cui ambiva il magnate Lowenstein (può darsi che i progetti privati siano dannosi e quelli pubblici no, anche se sembrano intervenire più o meno nello stesso modo? Boh!). In seconda battuta: quale sarà l’impatto sul paesaggio di un qualcosa che, se di sicuro non ha niente a che fare con la scalinatella di Murolo, corre il rischio di trasformare un pezzo di indiscutibile bellezza in un ammiccamento all’ingresso di un centro commerciale in cima a una collina?
Se Dio vuole, in cima alla collina in questione non c’è un supermercato, ovvero non c’è ancora, mentre in basso, fra le e mura del centro storico, ormai c’è da tempo e, dopo gli anni del vuoto imposto dalla pandemia, si sta riprendendo alla grande. Si tratta di uno o forse del principale superstore del turismo di massa che pare ripresentarsi anche peggio rispetto al passato (leggere per credere le pagine dedicate a questo sul Corriere Fiorentino di ieri).
Quante parole si sono sparse nell’aria delle dichiarazioni, degli intenti, delle riflessioni a voce alta di esponenti della vita pubblica fiorentina: mai più come prima! Firenze risorgerà con un nuovo modello urbano di sviluppo!
Mai più gli errori del passato, cioè la consegna della sua parte antica a una speculazione turistica e commerciale che l’ha fatta diventare quel deserto che i lockdown hanno svelato senza pietà.
Ora ci vogliamo mettere anche il Forte, in nome di che? Forse della modernità, di un aggiornamento di un inno al progresso, di un nuovo Ballo Excelsior in cui aggiungere alla lampadina di Edison e al canale di Suez la scala mobile a zig zag da palazzo Vegni al retro di Villa Bardini?
Basterebbe creare un servizio veramente efficiente per chi ha difficoltà ad arrivare per conto suo allo sguardo indimenticabile su Firenze, lasciando agli altri la sensazione di conquistare qualche cosa di diverso e che ancora resta intatto, rispetto a quello che si attraversa di sotto.
Del resto, è assolutamente un’idea tanto onesta quanto irreale quella che si possa convincere il turismo di massa a lasciare da parte gli stereotipi artistici per cui si muove e che nutrono economicamente quella che un grande economista come Giacomo Becattini chiamava la «Michelangiolo and Botticelli Company».
Negare l’utilità della scala mobile di Giani e autorevoli sodali è segno di passatismo, per dirla con Papini e compagnia futurista? Secondo chi scrive è passatismo non fare niente per cambiare il destino del centro storico di Firenze, a parte ricorrenti affermazioni di che... non si sa.
Dopo l’esperienza di questi anni virali, i poteri pubblici dovrebbero dedicarsi a un obiettivo assoluto che ovviamente è banale ripetere: riportare la residenza nel centro.
Al momento capita sempre di leggere che quando si libera uno spazio in centro, lì ci vanno alberghi di lusso o appartamenti dello stesso tipo: non è proprio il modo per riempire il deserto che abbiamo visto. Ogni risorsa ragionevolmente disponibile nel pubblico e nel privato dovrebbe andare nella ricerca di un recupero di vita nella parte antica, che può essere dato dall’abitare e dal lavorare: altro che spendere milioni per consolarci con una «scalinatella».
Almeno fosse quella cantata da Roberto Murolo.