Piombino e le acciaierie, con i sogni adesso è sparita anche la solidarietà
Viaggio a Piombino dopo l’ennesima ipotesi di vendita dello stabilimento che fu dei Lucchini Il sindaco Ferrari: a un certo punto è cresciuta la convinzione che togliesse benessere alla città
Benché Piombino paghi un passato di monocultura industriale, il suo futuro sta nel rilancio industriale. Pare un’incoerenza, soprattutto ora che Sajjan Jindal ha detto al Financial Times di voler vendere l’acciaieria per reinvestire i proventi nel mercato immobiliare indiano, dopo averla acquistata nel 2018 da Issad Rebrab, il produttore algerino di succhi di frutta che, al suo arrivo, fu salutato come il salvatore della Patria.
Sono stati quattro anni gettati al vento, nonostante i solidi progetti iniziali.
«Jindal non ha investito un euro e anzi ha impoverito lo stabilimento — spiega David Romagnani della Fiom-Cgil — Ha venduto il rame, non ha fatto le manutenzioni, l’altoforno spento nel 2014 è diventato una colombaia». Eppure, nonostante che la monocultura siderurgica appartenga a un passato remoto, pochi immaginano una prospettiva senza industria: «Usiamo un lessico corretto — aggiunge Romagnani — Non chiamiamole più acciaierie, ma stabilimento di trasformazione».
Giusta osservazione, perché la chiusura dell’altoforno ha fatto da spartiacque tra il passato e il presente di una città che, di pari passo al ridimensionamento delle acciaierie, ha perso progressivamente abitanti e che, con fatica, cerca di darsi una nuova identità. Lo spirito dell’autunno 2011, quando migliaia di persone si riversarono per le strade a difendere il ciclo integrale dell’acciaio, con gli studenti che non andarono a scuola e i negozianti che abbassarono le saracinesche in segno di solidarietà con gli operai, non esiste più. Si è disintegrato, di pari passo al sogno di una rinata grandeur industriale. «A un certo punto si è fatta largo la convinzione che il benessere della città e dei suoi abitanti collidesse con la presenza dello stabilimento. Abbiamo evitato lo scontro sociale», sottolinea Francesco Ferrari, dal 2019 sindaco di Piombino, il primo sindaco di destra nella storia dell’ex roccaforte rossa.
Il limbo in cui versano le ex-acciaierie si ripercuote sull’avvenire. Il dragaggio del porto ha permesso l’avvio delle attività di refitting e cantieristica con la creazione di Pim (Piombino industrie marittime), anche se prima dello spegnimento dell’altoforno si era sviluppata l’itticoltura e il turismo sulla costa est era cresciuto. Ma niente di ciò, nell’immediato futuro, è in grado di compensare la perdita di lavoro e di ricchezza derivante dalla crisi delle ex-acciaierie. In una città che vive molto di ammortizzatori sociali, si mescolano assuefazione e fatalismo. Pochi si scaldano di fronte ai nuovi, periodici cambi di mano. La Jsw di Sajjan Jindal vuole vendere e, forse, spianare la strada a un compratore italiano più affidabile, tipo Arvedi? Veliardi dremo, basta che le produzioni non collidano con l’ambiente e con lo sviluppo economico diversificato. E che, naturalmente, i piani industriali siano seri e realizzabili.
L’annuncio di Sajjan Jindal è stato comunque un fulmine a ciel sereno, anche perché sul piatto c’è la maxi-commessa decennale da 2,4 mi
Le accuse del sindacato
Per la Fiom Jindal in questi anni ha impoverito la fabbrica: «Ha tolto il rame, non ha fatto manutenzione, l’altoforno spento è una colombaia»
di euro da parte di Rfi. I sindacati chiedono notizie e garanzie, proprio per evitare l’ennesima beffa, tipo affidare l’appalto a Jsw che poi produrrebbe rotaie in un altro dei suoi stabilimenti, mentre Piombino ha bisogno di lavoro e di prospettive. «È evidente che Jindal lavora su due tavoli — prosegue Romagnani — Da un lato annuncia di voler vendere, dall’altro è interessato alla commessa di Rfi. Nel caso in cui l’intenzione di vendita sia confermata, è giusto che sia un altro produttore ad aggiudicarsi la commessa Rfi». Insomma, l’ennesimo puzzle da ricomporre per Piombino, cui fa riscontro l’assenza del governo.
L’intreccio e la complessità dei problemi lasciano a bocca aperta, come la distanza siderale con i palazzi romani. Se l’economia va diversificata, ad esempio, sono indispensabili le bonifiche e il restringimento del perimetro industriale, con la dismissione degli impianti e dei capannoni inutilizzati e il riuso delle aree liberate per favorire altri insediamenti produttivi. Ma il Pnrr destina alla Toscana per la bonifica dei «siti orfani» 32 milioni di euro, quando solo per i cumuli ne servirebbero da 90 a 150 e per i suoli la spesa è
tutta da quantificare. A questo si aggiunge il tema delle concessioni demaniali che riguardano gran parte della superficie (oltre 600 ettari) su cui si estende lo stabilimento, alcune delle quali già scadute.
Mentre la maggior parte dei piombinesi guarda distratta a questa mole di problemi, assuefatta ai colpi di scena, ma anche rassegnata e impotente di fronte agli uragani che di frequente investono la loro città, si è aperto il fronte del rigassificatore: una nave gasiera lunga 300 metri, affiancata una volta alla settimana da una di pari lunghezza per l’approvvigionamento, in attesa di una soluzione definitiva dovrebbe stazionare per almeno due anni sul nuovo molo, quello che si affaccia sul fondale appena dragato per venti metri. E su questo lo scontro tra il governatore Giani e il sindaco Ferrari è durissimo. Per Giani l’assenso al rigassificatore, oltre a risolvere in quota parte la crisi per l’approvvigionamento energetico, garantirebbe al territorio solo ricadute positive: come contropartita al governo sarebbero chieste le bonifiche, la riduzione dei costi energetici, la realizzazione della strada 398 verso il porto. Secondo Ferrari, invece, le ripercussioni sarebbero solo negative: «La nave gasiera è incompatibile con l’itticoltura, intralcia i collegamenti con l’Isola d’Elba, impedisce qualsiasi attività nel raggio di 500 metri. Sarebbe un freno alla rinascita economica della città, senza tacere le ripercussioni negative, in prospettiva, sul Santuario dei cetacei». Gianni Anselmi, sindaco dal 2004 al 2014 e ora consigliere regionale Pd, prova a cercare il bandolo: «Non è più tempo di monocultura siderurgica, negli anni abbiamo lavorato per diversificare l’economia. Ma modernizzare l’industria non significa smantellarla: dobbiamo renderla moderna, con prodotti lunghi e piani, con la restituzione delle aree bonificate per fare impresa a basso impatto. Del gas si può discutere ma in un contesto complessivo che salvaguardi le attività portuali e l’ambiente marino e includa investimenti nelle rinnovabili per creare un ponte verso la produzione di idrogeno verde».
Ottomila persone, agli inizi degli anni 80, lavoravano nelle acciaierie ma i posti di lavoro, se si considera l’indotto, erano circa 12 mila. I dipendenti Jsw ora si sono ridotti a 1.660, però almeno mille sono in cassa integrazione a rotazione. A questi ultimi se ne aggiungeranno, a fine mese, altri trecento con la fermata del treno rotaie, i rimanenti faranno manutenzione.
Note positive, tuttavia, arrivano dal mercato immobiliare: il valore delle abitazioni è inferiore di almeno 3-4 volte a quello della vicina San Vincenzo e questo invoglia ad acquistare la casa per le vacanze proprio a Piombino. Dopotutto il mare è color blu cobalto, le spiagge a nord e sulla costa est incantano, la città è bella e i panorami sono mozzafiato. Il sindaco Ferrari, sulla propria pagina Facebook, conferma i buoni segnali: il 18 maggio è attesa in porto la prima nave da crociera, altre 8 arriveranno da qui a ottobre.