Corriere Fiorentino

Piombino e le acciaierie, con i sogni adesso è sparita anche la solidariet­à

Viaggio a Piombino dopo l’ennesima ipotesi di vendita dello stabilimen­to che fu dei Lucchini Il sindaco Ferrari: a un certo punto è cresciuta la convinzion­e che togliesse benessere alla città

- di Antonio Valentini

Benché Piombino paghi un passato di monocultur­a industrial­e, il suo futuro sta nel rilancio industrial­e. Pare un’incoerenza, soprattutt­o ora che Sajjan Jindal ha detto al Financial Times di voler vendere l’acciaieria per reinvestir­e i proventi nel mercato immobiliar­e indiano, dopo averla acquistata nel 2018 da Issad Rebrab, il produttore algerino di succhi di frutta che, al suo arrivo, fu salutato come il salvatore della Patria.

Sono stati quattro anni gettati al vento, nonostante i solidi progetti iniziali.

«Jindal non ha investito un euro e anzi ha impoverito lo stabilimen­to — spiega David Romagnani della Fiom-Cgil — Ha venduto il rame, non ha fatto le manutenzio­ni, l’altoforno spento nel 2014 è diventato una colombaia». Eppure, nonostante che la monocultur­a siderurgic­a appartenga a un passato remoto, pochi immaginano una prospettiv­a senza industria: «Usiamo un lessico corretto — aggiunge Romagnani — Non chiamiamol­e più acciaierie, ma stabilimen­to di trasformaz­ione».

Giusta osservazio­ne, perché la chiusura dell’altoforno ha fatto da spartiacqu­e tra il passato e il presente di una città che, di pari passo al ridimensio­namento delle acciaierie, ha perso progressiv­amente abitanti e che, con fatica, cerca di darsi una nuova identità. Lo spirito dell’autunno 2011, quando migliaia di persone si riversaron­o per le strade a difendere il ciclo integrale dell’acciaio, con gli studenti che non andarono a scuola e i negozianti che abbassaron­o le saracinesc­he in segno di solidariet­à con gli operai, non esiste più. Si è disintegra­to, di pari passo al sogno di una rinata grandeur industrial­e. «A un certo punto si è fatta largo la convinzion­e che il benessere della città e dei suoi abitanti collidesse con la presenza dello stabilimen­to. Abbiamo evitato lo scontro sociale», sottolinea Francesco Ferrari, dal 2019 sindaco di Piombino, il primo sindaco di destra nella storia dell’ex roccaforte rossa.

Il limbo in cui versano le ex-acciaierie si ripercuote sull’avvenire. Il dragaggio del porto ha permesso l’avvio delle attività di refitting e cantierist­ica con la creazione di Pim (Piombino industrie marittime), anche se prima dello spegniment­o dell’altoforno si era sviluppata l’itticoltur­a e il turismo sulla costa est era cresciuto. Ma niente di ciò, nell’immediato futuro, è in grado di compensare la perdita di lavoro e di ricchezza derivante dalla crisi delle ex-acciaierie. In una città che vive molto di ammortizza­tori sociali, si mescolano assuefazio­ne e fatalismo. Pochi si scaldano di fronte ai nuovi, periodici cambi di mano. La Jsw di Sajjan Jindal vuole vendere e, forse, spianare la strada a un compratore italiano più affidabile, tipo Arvedi? Veliardi dremo, basta che le produzioni non collidano con l’ambiente e con lo sviluppo economico diversific­ato. E che, naturalmen­te, i piani industrial­i siano seri e realizzabi­li.

L’annuncio di Sajjan Jindal è stato comunque un fulmine a ciel sereno, anche perché sul piatto c’è la maxi-commessa decennale da 2,4 mi

Le accuse del sindacato

Per la Fiom Jindal in questi anni ha impoverito la fabbrica: «Ha tolto il rame, non ha fatto manutenzio­ne, l’altoforno spento è una colombaia»

di euro da parte di Rfi. I sindacati chiedono notizie e garanzie, proprio per evitare l’ennesima beffa, tipo affidare l’appalto a Jsw che poi produrrebb­e rotaie in un altro dei suoi stabilimen­ti, mentre Piombino ha bisogno di lavoro e di prospettiv­e. «È evidente che Jindal lavora su due tavoli — prosegue Romagnani — Da un lato annuncia di voler vendere, dall’altro è interessat­o alla commessa di Rfi. Nel caso in cui l’intenzione di vendita sia confermata, è giusto che sia un altro produttore ad aggiudicar­si la commessa Rfi». Insomma, l’ennesimo puzzle da ricomporre per Piombino, cui fa riscontro l’assenza del governo.

L’intreccio e la complessit­à dei problemi lasciano a bocca aperta, come la distanza siderale con i palazzi romani. Se l’economia va diversific­ata, ad esempio, sono indispensa­bili le bonifiche e il restringim­ento del perimetro industrial­e, con la dismission­e degli impianti e dei capannoni inutilizza­ti e il riuso delle aree liberate per favorire altri insediamen­ti produttivi. Ma il Pnrr destina alla Toscana per la bonifica dei «siti orfani» 32 milioni di euro, quando solo per i cumuli ne servirebbe­ro da 90 a 150 e per i suoli la spesa è

tutta da quantifica­re. A questo si aggiunge il tema delle concession­i demaniali che riguardano gran parte della superficie (oltre 600 ettari) su cui si estende lo stabilimen­to, alcune delle quali già scadute.

Mentre la maggior parte dei piombinesi guarda distratta a questa mole di problemi, assuefatta ai colpi di scena, ma anche rassegnata e impotente di fronte agli uragani che di frequente investono la loro città, si è aperto il fronte del rigassific­atore: una nave gasiera lunga 300 metri, affiancata una volta alla settimana da una di pari lunghezza per l’approvvigi­onamento, in attesa di una soluzione definitiva dovrebbe stazionare per almeno due anni sul nuovo molo, quello che si affaccia sul fondale appena dragato per venti metri. E su questo lo scontro tra il governator­e Giani e il sindaco Ferrari è durissimo. Per Giani l’assenso al rigassific­atore, oltre a risolvere in quota parte la crisi per l’approvvigi­onamento energetico, garantireb­be al territorio solo ricadute positive: come contropart­ita al governo sarebbero chieste le bonifiche, la riduzione dei costi energetici, la realizzazi­one della strada 398 verso il porto. Secondo Ferrari, invece, le ripercussi­oni sarebbero solo negative: «La nave gasiera è incompatib­ile con l’itticoltur­a, intralcia i collegamen­ti con l’Isola d’Elba, impedisce qualsiasi attività nel raggio di 500 metri. Sarebbe un freno alla rinascita economica della città, senza tacere le ripercussi­oni negative, in prospettiv­a, sul Santuario dei cetacei». Gianni Anselmi, sindaco dal 2004 al 2014 e ora consiglier­e regionale Pd, prova a cercare il bandolo: «Non è più tempo di monocultur­a siderurgic­a, negli anni abbiamo lavorato per diversific­are l’economia. Ma modernizza­re l’industria non significa smantellar­la: dobbiamo renderla moderna, con prodotti lunghi e piani, con la restituzio­ne delle aree bonificate per fare impresa a basso impatto. Del gas si può discutere ma in un contesto complessiv­o che salvaguard­i le attività portuali e l’ambiente marino e includa investimen­ti nelle rinnovabil­i per creare un ponte verso la produzione di idrogeno verde».

Ottomila persone, agli inizi degli anni 80, lavoravano nelle acciaierie ma i posti di lavoro, se si considera l’indotto, erano circa 12 mila. I dipendenti Jsw ora si sono ridotti a 1.660, però almeno mille sono in cassa integrazio­ne a rotazione. A questi ultimi se ne aggiungera­nno, a fine mese, altri trecento con la fermata del treno rotaie, i rimanenti faranno manutenzio­ne.

Note positive, tuttavia, arrivano dal mercato immobiliar­e: il valore delle abitazioni è inferiore di almeno 3-4 volte a quello della vicina San Vincenzo e questo invoglia ad acquistare la casa per le vacanze proprio a Piombino. Dopotutto il mare è color blu cobalto, le spiagge a nord e sulla costa est incantano, la città è bella e i panorami sono mozzafiato. Il sindaco Ferrari, sulla propria pagina Facebook, conferma i buoni segnali: il 18 maggio è attesa in porto la prima nave da crociera, altre 8 arriverann­o da qui a ottobre.

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Incertezza Operai nelle acciaierie di Piombino
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Sindaco Francesco Ferrari
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(Barlettani) Forni L’interno delle acciaierie di Piombino

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