QUANTE ASSENZE A PIOMBINO
«Tornare agli anni di gloria con un nuovo piano industriale». Nel libro degli ospiti della Regione c’è ancora il messaggio vergato di proprio pugno in inglese da Sajian Jindal, presidente di Jsw Steel, gigante indiano dell’acciaio. Era il settembre del 2014 e Jindal si incontrò con l’allora governatore Enrico Rossi perché interessato allo stabilimento siderurgico di Piombino. Sono trascorsi da allora quasi 8 anni, degli anni d’oro delle acciaierie con 8 mila addetti ridotti oggi a 1.660 neanche un fugace barlume e meno che mai si è visto un serio e concreto piano industriale. Ora al Finacial Times Jindal annuncia la volontà di dire addio a Piombino e al Texas per reinvestire i proventi delle vendite degli asset nel mercato immobiliare indiano. Meglio il mattone che l’acciaio, pare di capire. E così Piombino, che una volta veniva definita, ricorda lo storico Rossano Pazzagli, «la piccola Manchester della Maremma», ripiomba in una sorta di asfissia della speranza. Troppe le promesse non mantenute, i sogni infranti, le docce fredde. Tutto è iniziato una ventina di anni fa, quando l’allora Italsider venne privatizzata e passò dallo Stato a Lucchini. Che però entrò in crisi e le Acciaierie nel 2005 passarono al gruppo russo Severstal di Aleksei Mordashov. Da qui una lunga agonia fino all’arrivo dell’imprenditore nordafricano Issad Rebrab. «È nata Aferpi, è nata la stella del Mediterraneo», esclamò il sindaco di allora Massimo Giuliani.
E il pisano Rossi tenne a ricordare a Rebrab il viaggio che nelle sue terre fece, nel 1100, Leonardo Fibonacci, gran matematico. Poi è andata come è andata, la stella del Mediterraneo sparì e su Piombino di nuovo calò la notte fino all’arrivo di Jindal grazie anche alla mediazione del renziano Marco Carrai, nominato vicepresidente esecutivo di Jsw Steel Italy. Però la speranza indiana sembra venuta meno e a Piombino, ha osservato Antonio Valentini ieri sul Corriere Fiorentino, «si mescolano assuefazione e fatalismo». Sul tappeto non c’è solo la questione delle acciaierie, ma anche del rigassificatore. Un groviglio di problemi di fronte ai quali lo Stato sembra lontano, la politica inconcludente e il mondo imprenditoriale assente. Fa bene il ministro del Lavoro Andrea Orlando a esigere da Jindal di sapere «cosa vuol fare», ma se è vero che finora non è stato investito un euro, come sostiene la Fiom, c’è da chiedersi anche dov’era finora il governo, dov’era la politica tutta. Forse ha ragione il presidente della Regione Eugenio Giani ad invocare un piano che metta insieme tutti i problemi del caso Piombino e tutti i soggetti chiamati a risolverli. Cosa vuole diventare Piombino? «Il turismo rappresenta ormai il 25 per cento del Pil piombinese», informa Fabrizio Lotti, vice presidente dei balneari di Confesercenti. Finita la monocultura dell’acciaio, più che inseguire i sogni venduti a buon prezzo, la città ha bisogno che lo Stato e la politica l’aiutino a costruire un futuro. Ad avere una visione che metta insieme sviluppo e coesione sociale. Non sarà facile, ma questa è la sfida.