DI OBLIQUO BASTA LA PISTA
Il via libera preliminare dell’Enac al progetto della pista da 2.200 metri dell’aeroporto di Firenze, quello con la cosiddetta pista «obliqua», rischia di essere come la bandierina sventolata per segnalare la partenza della gara delle polemiche. Ma questa volta pare essere diverso: i sostenitori dei progetti di sviluppo dello scalo fiorentino, in prima fila il sindaco Dario Nardella ed il presidente della Regione Eugenio Giani, sembrano avere studiato non solo i tentativi che si sono susseguiti nella pluridecennale vicenda, ma soprattutto i passi falsi e gli errori compiuti in passato. In primo luogo per evitare che il confronto all’interno del loro schieramento politico, ma anche di un più ampio «campo largo», sia troppo condizionato da posizioni ideologiche cristallizzate nella sfida infinita tra favorevoli e contrari. Inoltre pesa non poco la lezione impartita dalla giustizia amministrativa circa il dovere di seguire con scrupolo tutti i passaggi dettati dalla necessità di un percorso che coinvolga tutti i soggetti interessati. Lo dicono gesti come quello dell’incontro di Nardella con il sindaco di Campi Bisenzio Emiliano Fossi, durante il quale il sindaco metropolitano ha incassato un «parliamone» che è costato a Fossi l’accusa di tradimento del patto elettorale imputatagli da Sinistra Italiana. E poi l’annuncio dato da Giani di un incontro nei prossimi giorni con i sindaci dei Comuni interessati al piano aeroportuale per sviluppare il «percorso partecipativo» sul progetto.
E qui sarà interessante osservare quale posizione terrà il sindaco di Sesto Lorenzo Falchi, che ha costruito il suo successo per il primo mandato e la conferma del secondo, sostenuto anche dal Pd, sulla posizione contraria a nuovi interventi su Peretola. Ma per bocciare o promuovere un’ipotesi occorre vederla, studiarla e discuterla, verificarne i pro e i contro, l’impatto con quel che c’è e con ciò che dovrà esserci. Cosa che ancora non è avvenuta. Altrimenti la strada è già tracciata nella direzione di trasformare il confronto nell’ennesimo teatrino teso unicamente al rafforzamento di un consenso a prescindere. La politica dovrebbe invece essere altro, e questa è l’occasione di provarci e di farlo partendo laicamente da alcuni punti fermi. Il primo è che la discussione non è se Firenze debba o meno avere un aeroporto. Quello c’è già, visto che per ora non risultano prospettive della sua trasformazione in un campo fotovoltaico, come il vecchio scalo berlinese di Tempelhof, e questo rischia di rendere obsoleto un dibattito sulla sua utilità e collocazione che andava fatto mezzo secolo fa. Il secondo consiste nel prendere atto che ogni ipotesi di sviluppo non può collidere con quanto, anche in questo caso, c’è già e dovrà esserci. È partendo da qui che la discussione sul progetto può misurarne nei dettagli l’effettiva novità e la sua capacità di trovare la quadra, o, al contrario, il grado di riproposizione di minestre riscaldate e indigeste. Ma questo lo si può fare solo se si discute in modo leale e trasparente sulla concretezza della proposta. Di obliquo basta il tracciato della pista.