La locanda dei colli pazzi con gli esagoni di piccione
Nella tenuta i Collazzi una cucina senza luoghi comuni
In molti ricorderanno «American girl in Italy», seconda foto più venduta al mondo, lo scatto col quale Ruth Orkin ritrasse nel 1951 il simbolo del «latinloverismo» italiano immortalando una modella a passeggio di fronte al caffè Gilli osservata e apprezzata da un gruppetto di uomini tra i quali un giovane seduto in lambretta. Quel giovane era Carlo Marchi, proprietario con le sorelle della tenuta i Collazzi.
Oggi, poco distante dalla villa manierista attribuita e Santi di Tito ma sulla quale si è vagheggiato anche un intervento michelangiolesco, ci sono una locanda e una cantina. Siamo nell’anello del Rinascimento, nella zona di Impruneta ma a cavallo dei comuni di Scandicci e San Casciano, all’inizio del Chianti Classico. Una proprietà di 420 ettari, l’equivalente di una piccola Doc giusto per intuirne la grandezza. Qui l’ingegnere, come veniva chiamato dal personale, seguiva l’azienda ma ci teneva a precisare che lui beveva solo whisky, non vino. Qui ha conservato la Fiat regalatagli dall’Avvocato Agnelli per anni dal suo ritorno dagli Stati Uniti dove, prima di sposare Gioia Falck, si vociferò anche di un suo flirt con Jane Fonda. Era un vero e proprio personaggio del quale si respira il fascino in un locale informale ma elegante. All’atmosfera cosmopolita si aggiunge l’antico senza tempo delle ville storiche e degli ulivi secolari che in continuo saliscendi dominano questi colli pazzi, da cui poi il nome Collazzi della tenuta.
A dirigerla c’è Alberto Torelli. È arrivato come stagista a 25 anni ed è cresciuto qui accanto a Niccolò d’Afflitto, l’enologo dei Frescobaldi. Una delle sorelle dell’ingegnere infatti è Bona Frescobaldi. Nella riscoperta di questo luogo magico, accanto alla cantina adesso c’è anche una locanda. Due camere e un ristorante con cucina a vista.
Ai fornelli Angela Tucci, affiancata da Alessandro Campi. Lei è aretina, lo s’intuisce dai prodotti casentinesi nel menu, ha poco più di 30 anni, lavora silenziosamente, ma sotto la bandana al posto della toque cova sensibilità e creatività. Una cucina soprattutto stagionale, naturale, regionale senza luoghi comuni. I ravioli diventano piccoli esagoni e il ripieno di piccione è fragrante e da masticare. La coscia di quaglia è servita col suo fondo, un po’ dell’ultimo tartufo bianco marzolino, e spinaci saltati. La tarte Tatin è scomposta e manca solo di un vezzo di caramello, ma è ottima e soprattutto non comune da quando la maggior parte degli chef ha timore di confrontarsi con questo grande classico della pasticceria francese. «Amo molto le erbe aromatiche, cerco di usare il più possibile prodotti di stagione e finché possiamo, coltivati nella tenuta. A cominciare dai piccioni, per esempio, che alleviamo qui», ha spiegato la giovane cuoca. I prezzi sono abbordabili, il servizio molto curato e la cantina insolita. Accanto ai vini dei Collazzi ci sono gli chateau bordolesi in un confronto che può apparire azzardato e invece si rivela stimolante ed elegante.