AL REFERENDUM DI DOMENICA NON PUÒ VINCERE IL MARE
Non so se è lo strumento binario del referendum o l’eco della guerra, fatto sta che sempre più negli ultimi giorni viene sollecitata una scelta di campo, di categoria, se sei magistrato non puoi che scorgere nei quesiti «una vendetta contro la magistratura», se fai l’avvocato non ti è concesso dubitare: «Chi è garantista non può che votare 5 sì».
Non ho mai amato il tifo applicato alla politica, figurarsi al diritto. «La situazione è un po’ più complessa, ma questo non vale solo per la sua storia: vale anche per la mia» sussurrava di Sorrentino. Appunto. Ho quindi provato a non ragionare per appartenenza — cioè a ragionare — con esito fallace, sicuramente, ma non dogmatico.
E dunque? Domenica andrò a votare e voterò così. Sì alla separazione delle funzioni tra magistrati, ma non perdiamo di vista l’obiettivo di una vera separazione delle carriere; due distinti esami, due distinte carriere, due autonomi organi di autogoverno per magistrati requirenti e giudicanti. Nei paesi dove vige un sistema accusatorio compiuto le carriere sono separate e il pm non è un collega del giudice. Sì alla «riformina» del Csm. Prevedere che ciascun magistrato possa candidarsi senza raccogliere 25 firme (e quindi essere costretto a chiedere aiuto ad una corrente), è giusto, ma è una goccia nel mare. Se si vuole abbattere il sistema correntizio, serve una riforma draconiana, occorre introdurre il sorteggio tra i più meritevoli. Sul punto, ahinoi, nel sistema elettorale delineato dalla delega Cartabia tutto cambia perché nulla cambi e le correnti ringraziano.
Sì, turandomi il naso, alla abolizione della legge Severino. La tagliola della sospensione all’esito del primo grado è una sanzione — ‘LA’ sanzione per un politico costretto a lasciare — priva di una verità processuale che la legittimi, un obbrobrio che vale da solo l’abolizione della legge. Malauguratamente, viene chiesto di gettare il bimbo con l’acqua sporca, abrogando anche la opportuna previsione di incandidabilità in caso di condanna definitiva.
Sì, con riserva, alla inclusione degli avvocati nella valutazione dei magistrati. Il sistema attuale con il 99,5% di valutazioni positive, si commenta da solo. Vanno però introdotti correttivi (astensione, incompatibilità ecc..), tesi ad evitare che un avvocato possa trovarsi a valutare un giudice del suo stesso circondario, magari quello che gli ha appena dato torto o ragione.
Se un avvocato eletto membro del Csm è cancellato dall’Albo, qualche minima cautela andrà pure trovata anche per i colleghi che siedono nei Consigli giudiziari. E veniamo alla limitazione della custodia cautelare. L’eccesso di carcerazione preventiva è un virus altamente contagioso e il «pericolo di reiterazione del reato», ove abusato, ne costituisce un formidabile vettore di diffusione. Ma, art. 274 c.p.p. alla mano (quel che ne rimarrebbe), la vittoria del sì equivarrebbe a fornire un «lasciapassare» al piromane in procinto di appiccare incendi, allo stalker seriale, al corrotto che ha in agenda l’incasso della prossima mazzetta ecc.
L’abuso della carcerazione preventiva si può contenere, come pure ipotizzato da un autorevole esponente del sì, prevedendo che a disporre la misura sia «un organo collegiale, distante anche topograficamente dal Pm che ha fatto l’inchiesta».
Ciò che occorre è un intervento chirurgico del legislatore che preservi l’equilibrio fra tutela del singolo e tutela della collettività; bombardare il codice costi quel che costi, anche no!