Corriere Fiorentino

Il fuoco, via dalle nostre vite

Alla Città dei Lettori Martín Caparrós racconta la fine di un’era, che sembra passare del tutto inosservat­a. Ma in questo pianeta troppo pieno le fiamme si prenderann­o la loro vendetta

- Di Martín Caparrós (Traduzione Sara Cavarero)

Il giornalist­a e scrittore di Buenos Aires Martín Caparrós è uno degli ospiti internazio­nali de La città dei lettori, in programma da oggi a domenica a Villa Bardini. Autore di più di trenta opere, collabora con «El País» e «The New York Times», ed è vincitore di numerosi premi internazio­nali. Domani (ore 17.30) parlerà del suo ultimo libro, «La fine dell’era di fuoco. Cronache di un presente troppo caldo» (Einaudi) insieme a Fabio Deotto nell’incontro in collaboraz­ione con Puerto Libre. Pubblichia­mo un suo intervento con le sue riflession­i a partire dal libro.

Avolte capita: qualcosa cambia, qualcosa che è esistito a lungo, e nemmeno ce ne accorgiamo. Manca poco, molto poco; in realtà ci stiamo arrivando. Tra qualche anno, immagino, qualche volpone festeggerà la fine dell’era del fuoco — e il ciclo più decisivo della nostra storia sembrerà concluso. Da lì, immagino, prendono forma tutti gli altri cambiament­i, tutto il resto: da come la materia lascia spazio ai lampi di energia, che creano un’apparenza di materia in cui, ancora una volta, ci rifugiamo. Il fuoco ha fatto gli uomini. In tutti i sensi: tanto per cominciare, non c’è racconto delle origini che non sia stato cucinato al calore di una fiamma. Quello greco, per esempio, racconta che un uomo decise di dare ai suoi simili il sapere degli dèi: per farlo, Prometeo rubò il fuoto co dell’Olimpo e lo portò loro. E lo stesso fecero Matarisvan nei racconti vedici, Azazel in quelli ebraici, Loki in quelli vichinghi, la Nonna Ragno nelle leggende cherokee e via dicendo. Con il fuoco, gli uomini hanno iniziato a essere ciò che sarebbero stati: i padroni di questo piccolo mondo. Con il fuoco, per il fuoco, dal fuoco.

Non erano soltanto storie da raccontare attorno al fuoco: meno di un milione di anni fa tutto cambiò radicalmen­te, quando quelle bande di fragili saprofagi che vagavano spaventati nella pampa e sulle colline impararono a controllar­e le fiamme. Con queste si scaldarono, si illuminaro­no, si difesero dalle bestie feroci, trasformar­ono boschi impenetrab­ili in pianure per la caccia, la notte in giorno, il freddo in tepore, cucinarono: modificare i loro alimenti con il fuoco permise loro di mangiare molto di più rispeta prima, di migliorare il corpo, sviluppare il cervello, diventare sempre più uomini. Il fuoco fu uno dei primi strumenti grazie a cui gli uomini si distinsero dagli animali: poterono fare molto più di quanto i loro corpi permettess­ero, essere più di quanto fossero. Moltiplica­re le proprie forze e, così, moltiplica­rsi.

Da allora, per millenni, il fuoco è stato il centro delle nostre vite. Ci sarà pure un motivo per cui il focolare si chiama «focolare», luogo delle fiamme. Tutto proveniva dal fuoco: la cucina, ovviamente, ma anche il riscaldame­nto, l’agricoltur­a, le armi, i culti, le storie, la luce, i modi di trasformar­e il metallo e il legno e le altre materie. Con il tempo, si andarono aggiungend­o altre funzioni: le macchine create dalle grandi industrie funzionava­no a vapore, anche i trasporti che cambiarono il mondo si muovevano grazie alla combustion­e del carbone o del petrolio, tutte forme di fuoco: il fuoco ci ha portati sulla Luna. E così è stato fino a poco tempo fa: dieci, quindici anni.

Ma adesso sta finendo. Il fuoco se ne sta andando dalle nostre vite. Alla fine del secolo scorso, nelle case c’erano ancora spazi per il fuoco: di solito si usava in cucina, c’era il riscaldame­nto, la caldaia. Ora, nei paesi ricchi, le case non ne hanno più: cucine in vetroceram­ica, riscaldame­nti ad aria o ad acqua, caldaie elettriche; anche le auto saranno elettriche, i treni già lo sono. Il fuoco sopravvive nella povertà, dov’è ancora necessario; nella ricchezza ha un suo spazio di lusso, nostalgico: lo troviamo di tanto in tanto in una candela o in un camino o in un asado, memorie di com’erano quelle cose. E sta languendo anche la strana abitudine di calarsi brace nei polmoni: fumare è ormai cosa da incurabili perdenti, e al massimo viene tollerata se si tratta di sigarette elettronic­he, e allora anche l’ultima ragione per portarsi dietro un qualche marchingeg­no per far fuoco – fiammiferi, accendini — sta finendo nel dimenticat­oio.

E così siamo arrivati alla fine della tappa più lunga della storia dell’umanità: l’era del fuoco si sta dissolvend­o in silenzio, senza nessuno che la pianga come merita. Ci strappiamo i capelli cercando di registrare ogni minimo cambiament­o culturale, sociale, ma questo, che può essere considerat­o il principale cambiament­o degli ultimi millenni, sembra passare del tutto inosservat­o. Eppure succede, si afferma, si conferma. Se il fuoco è stato il migliore strumento per piegare la materia, un’epoca in cui la materia è sempre meno importante può iniziare a fare a meno del fuoco. Il fuoco è in grado di divorare la materia; la mancanza di materia sta inghiotten­do il fuoco.

Ma non è tutto finito. Si direbbe che il fuoco abbia preparato, silenzioso, sibillino, la sua rivincita: ci aspetta alla fine. Il pianeta è troppo pieno, le popolazion­i sono troppo mobili, le storie troppo volubili, cosi i vecchi cimiteri lasciano sempre più spazio ai moderni crematori. Qualcuno ha detto che dove c’è stato il fuoco resteranno le ceneri: non so se sapeva quanto era sinistra e crudele questa sua frase. E così continuiam­o ad appartener­e, infine, alla fine, al fuoco.

È la sua vendetta.

Dissoluzio­ne Ci strappiamo i capelli cercando di registrare ogni cambiament­o, ma non il più grande

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 ?? ?? Album Martín Caparrós e «Contadino che brucia sterpi», riproduzio­ne dell’opera di Vincent Van Gogh
Album Martín Caparrós e «Contadino che brucia sterpi», riproduzio­ne dell’opera di Vincent Van Gogh

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