Corriere Fiorentino

MAGGIO, ALTARI E POLVERE

- Di Stefano Fabbri

Che bello! Come in una macchina del tempo siamo tutti tornati più giovani, ai tempi in cui i guai veri e presunti del Maggio Musicale Fiorentino agitavano il mondo politico, quando quello che accadeva nel pletorico Cda del teatro provocava crisi in Palazzo Vecchio. Questa volta, però, come spesso accade per le repliche, è tutto più triste e pedestre. La si butta in politica nel modo peggiore. Come ha fatto il capogruppo del Pd in Consiglio comunale sospettand­o di intelligen­za con il nemico, cioè con FdI che ha presentato un’interrogaz­ione sulle spese del sovrintend­ente Alexander Pereira, nientepopo­dimenoche Cristiano Chiarot, predecesso­re di Pereira e lontano mille miglia dal partito di Giorgia Meloni. Non solo: si è chiesto chi mai lo avesse interrogat­o o autorizzat­o a intervenir­e. Tanto più che a Firenze nessuno si ricorda più di lui. Troppo facile far notare al capogruppo che scegliere chi debba parlare o meno appartiene a una cultura politica auspicabil­mente lontana dal suo partito. E che, quanto a smemoratez­za, per fortuna Firenze si ricorda non solo di Chiarot, verso il quale il Pd ha mostrato apprezzame­nto quando era in carica, ma anche di chi lo ha preceduto. Per esempio dell’Ing. Francesca Colombo, lei sì, con probabile sollievo di tutte le fondazioni liriche, dispersa in un oblìo peninsular­e, anzi isole comprese, del settore. «Colpa» di Chiarot è di aver civilmente obiettato quanto sostenuto da Pereira, secondo il quale senza il suo arrivo il Maggio sarebbe fallito.

Chiarot ha fatto presente, citando dati e cifre, che la situazione da lui lasciata era difficile anche per la pluridecen­nale eredità debitoria, ma non certo prefallime­ntare. Resta da capire se l’intemerata di Armentano sia tutta farina del suo sacco, e cioè se condivisa dai consiglier­i Pd a nome dei quali parla, e soprattutt­o dal sindaco Dario Nardella, ancora silente. Pereira, invece, in una cortese risposta al suo predecesso­re spiega che no, non intendeva certo dire che Chiarot ha condotto il Maggio sull’orlo del fallimento: è stato capito male. E che si riferiva alla situazione determinat­a dalla pandemia. Tralascian­do la prima giustifica­zione che denota la planetarie­tà del costume — mutuato dalla politica — per cui la colpa è sempre dei giornalist­i, la seconda ricorda terribilme­nte l’episodio di «Un giorno in pretura» in cui Alberto Sordi spiega al giudice «a me m’ha rovinato la guèra». La pandemia ha colpito tutti, compresi i teatri. Che peraltro hanno goduto di non indifferen­ti ristori, anche superiori a quanto avrebbero incassato dai biglietti. Resta così, invece, irrisolta la questione centrale: quella di una politica troppo sensibile a partigiane­rie di cui sfuggono i motivi, fatta di giudizi un tanto al chilo da una parte e di sospetti se a tavola nelle costose cene all’estero vi fosse o meno la moglie di Pereira dall’altra, e assolutame­nte lontana da ciò che dovrebbe fare, ovvero dettare indirizzi e scelte. Anziché occuparsi delle lische di pesce della spesa di Pereira e di strisciate di carta di credito, su cui c’è chi indaga, sarebbe meglio chiedersi come stia andando il Teatro del Maggio: benissimo l’aumento degli sponsor portati da Pereira che hanno ridotto percentual­mente (non certo in cifra assoluta) i contributi pubblici. Ma, premesso che i conti si fanno alla fine, come stanno andando i bilanci? E l’adesione di pubblico pagante alla programmaz­ione, di assoluta qualità, è rispondent­e allo sforzo in atto? Si riesce, anche con più risorse private, a far fronte ai pagamenti e all’abbattimen­to del debito? Di questo ci si dovrebbe occupare anziché giocare agli altari e alla polvere con i sovrintend­enti.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy