Nel Duomo, miniera di echi
Evento Il maestro Salvatore Sciarrino ha composto il brano «Al sognatore di cupole», che sarà eseguito in prima assoluta martedì. «Ho sollecitato la Cattedrale come se fosse uno strumento»
Il suono rimbalza tra le pareti di un’articolata struttura architettonica lunga 153 metri, che arriva a 90 metri di larghezza e 90 di altezza. La Cattedrale di Santa Marie del Fiore diventa strumento musicale. Con i musicisti anche sugli alti ballatoi. E la Cupola del Brunelleschi una cassa armonica. È la nuova rivoluzione acustica di Salvatore Sciarrino, il compositore palermitano (residente da quasi 40 anni a Città di Castello) che in tutta la sua vastissima discografia (oltre 150 cd, editi dalle più rinomate etichette internazionali) ha messo al centro l’ascoltatore, invitandolo a un modo nuovo (rivoluzionario, appunto) di percepire e assorbire la musica.
Musicista autodidatta (ha cominciato a comporre a soli 12 anni; appena tre anni dopo, ha tenuto il suo primo concerto) che, tra le tante collaborazioni eccellenti, gli incarichi accademici e i premi prestigiosi, vanta un Leone d’Oro alla carriera, Sciarrino si è spinto ben oltre una dedica nella composizione del brano commissionatogli dall’Opera di Santa Maria del Fiore per le celebrazioni dei 600 anni della Cupola del Brunelleschi, rinviate due anni fa a causa della pandemia. Martedì (ore 21.15) nella Cattedrale (ingresso gratuito, fino ad esaurimento dei posti, da prenotare scrivendo una mail a eventi@duomo.firenze.it) il concerto La Cupola armonica, ideato dal musicologo Gabriele Giacomelli, coproduzione tra Opera di Santa Maria del Fiore e Fondazione Maggio con il Conservatorio Cherubini, oltre a una selezione di brani rinascimentali, presenta così la prima esecuzione assoluta — da parte del Coro del Maggio Musicale Fiorentino insieme con il Coro delle Voci Bianche dell’Accademia del Maggio e un variegato insieme strumentale diretto da Lorenzo Fratini — del brano Al sognatore di cupole di Salvatore Sciarrino.
Una composizione per la Cupola del Brunelleschi, una bella responsabilità…
«La commissione non è stata casuale: la mia musica ha a che fare con gli spazi echeggianti e con l’irrazionalità di cui sono portatori. La Cattedrale di Firenze ha una risonanza particolarmente ricca e caotica; con la mia scrittura ho cercato di sollecitarla come fosse uno strumento musicale, fonte di risonanza. Forse non tutti sanno che il suono muore se non viene riflesso dalle pareti. Una struttura architettonica articolata come Santa Maria del Fiore offre invece grandi possibilità acustiche, a
Critica «La classica oggi è scacciata via da una società votata al divertimento»
patto che si creino unità sonore dalle particolari caratteristiche di brevità, incisività e velocità di articolazione, che a me sono sempre state congeniali». Praticamente, i suoni rimbalzeranno tra le pareti del Duomo…
«Il Duomo è una gigantesca miniera di echi. Bisogna suscitarli!». Non è la prima volta che un luogo toscano diventa sua fonte di ispirazione…
«Il 25 ottobre 2018 ho eseguito un oratorio per il millenario della Chiesa di San Miniato. Probabilmente è stata quell’esperienza che ha fatto rizzare le orecchie all’Opera di Santa Maria del Fiore, per la quale ho composto un pezzo corale con piccoli interventi di strumenti e due flauti che faranno piovere suoni taglienti dal primo ballatoio».
Come nasce il testo di «Al sognatore di cupole», di cui lei stesso è autore (come della maggior parte dei libretti delle sue opere)?
«Dalla dedica che del Trattato sulla pittura Leon Battista Alberti fece a Brunelleschi, chiamandolo confidenzialmente “Pippo architetto”. In particolare, ho isolato una frase che noi artisti dovremmo ancora tener presente: “Tu persevera in trovare, quanto fai di dì in dì, cose per le quali il tuo ingegno s’acquista fama e nome”. Alberti parlava già di come l’arte può migliorare la vita. Alla fine, interviene un gruppo di voci bianche con una sorta di invocazione alla pace tratta da una sequenza gregoriana che singolarmente (visto che l’avevo già scelta) torna oggi di attualità».
È oggi possibile trovare un nuovo che abbia valenza artistica?
«Il nuovo va immaginato, escogitato. Non esistono depositi di novità. È la mente umana a
partorirlo. Se però i parametri dell’artista diventano quelli del commercio, e il criterio quello dell’audience, la qualità crolla a capofitto». Come vede lo scenario artistico fiorentino?
«Non arrivo a definirmi un isolato, ma comunque cerco di guardare le cose da lontano, perché solo dalla distanza la mente riesce a prendere slancio. Non posso quindi giudicare gli ambienti artistici». Caratteristica delle sue composizioni è aver messo l’ascoltatore al centro. Cosa significa?
«Io protesto contro l’oggettività della partitura spesso teorizzata dalla musica contemporanea. La musica è un linguaggio e, come tale, non esiste senza interpretazione umana: ha bisogno del compositore, degli esecutori e dell’ascoltatore. Da questa nuova prospettiva, la musica diventa fisiologica, psicologica, emotiva, riacquista tutto quello che negli ultimi anni aveva perso». Perde la freddezza a cui ci avevano abituato le avanguardie. Diventa anche più comprensibile?
«La complessità d’ascolto dipende dalla mancanza di familiarità. La musica classica, purtroppo, arriva a una minoranza. È sempre stato così. Basti pensare che non sappiamo neanche dove sia seppellito Mozart per capire che, magari, i suoi contemporanei non lo capivano». L’educazione musicale che non c’è nelle scuole italiane condanna le nuove generazioni a una familiarità ancora più scarsa?
«La musica classica è oggi considerata cosa che richiede impegno, scacciato via da una società votata al divertimento. Dovremmo invece insegnare le gioie della musica e dei suoni naturali dell’ambiente, contaminato da fenomeno sonori diversi. È quello che vorrei fare con la mia musica».