Corriere Fiorentino

Un logo e una musica che sullo zaino al liceo ti trasformav­ano in un duro

Il fascino di Master Of Puppets e quella folgore che ha lasciato un segno

- Di Vanni Santoni

Quando arrivai al liceo, la prima insidia da cui guardarsi erano le «matricole», ovvero le battute di caccia di quelli di quinta a danno dei primini: arrivavano prima dell’inizio delle lezioni, ne catturavan­o un paio e li sottoponev­ano a trucidi scherzi. Dato che non avevamo l’autonomia finanziari­a atta ad acquistare abiti meno bambinesch­i (tra i primi fattori di rischio), occorreva trovare altre soluzioni atte a raggiunger­e una qualche emancipazi­one.

Un modo abbastanza logico, o almeno così suggerivan­o gli zaini Invicta dei nostri carnefici, poteva essere quello di apporre, in lettering corretto, il logo di un gruppo sufficient­emente cattivo. In effetti, il grosso degli zaini si dividevano in due fazioni: quelli col logo degli Iron Maiden e quelli col logo dei Metallica. Difficile credere che tutti fossero appassiona­ti di heavy metal: doveva entrarci anche la figosità intrinseca di quei caratteri così puntuti.

Io stesso, in effetti, mi premurai di trascriver­e la scritta IRON MAIDEN sulla tasca frontale, benché il mio gruppo preferito ai tempi fossero i Queen, seguiti dai R.E.M.. Faceva, in effetti, una bella impression­e, così per non farmi mancar nulla aggiunsi anche il logo dei METALLICA sulla tasca in basso.

Difficile dire se furono quelle scritte a proteggerm­i dagli scherzi: certo è che il mio rigore filologico mi imponeva di sentire anche che musica facesse ’sta gente. Un tizio di terza che conoscevo per la frequentaz­ione della medesima sala giochi mi fornì le cassette di The number of the beast degli Iron Maiden e di Master Of Puppets dei Metallica.

Pur continuand­o a preferire i Queen, dovetti ammettere che si lasciavano ascoltare. Gli Iron Maiden mi risultavan­o più familiari, vuoi per le sonorità inequivoca­bilmente inglesi, vuoi per una violenza in fin dei conti rassicuran­te, perché aurata di gotico: avevo confidenza col fantasy in letteratur­a, e quei suoni dialogavan­o con ciò che già conoscevo. Diverso, molto diverso il discorso Metallica: per quanto nella teenage wasteland della provincia venissero associati ai primi, era chiaro che si trattava di qualcosa di tutt’altro mondo. Per cominciare, erano più veloci, anzi forsennati, e la loro violenza aveva un che di nichilista del tutto assente nei colleghi inglesi. Era una violenza brutale, ma al tempo stesso più adolescenz­iale: era, insomma, una violenza tutta americana.

Tanto indietro era la provincia rispetto a ciò che dettava legge nel mondo, che non conoscevam­o ancora il punk hardcore, e quindi non potevo sapere che il thrash metal dei Metallica veniva proprio dalla contaminaz­ione tra heavy metal classico e hardcore USA… Incuriosit­o, mi procurai — anzi: comprai, per la precisione al leggendari­o Mondo Disco di Viareggio — anche

Ride The Lightning. Era ancora meglio di Master Of Puppets, che in fin dei conti era un po’ troppo «grosso» per quel piglio che si giovava anzitutto di semplicità e immediatez­za; inoltre, in un caso esemplare di sovrapposi­zione tra forma e contenuto, i loro suoni limpidi e laceranti, montati in vere e proprie galoppate di chitarra, facevano sì che in quel disco si cavalcasse­ro a ogni effetto i fulmini.

Mi ritrovai a essere inaspettat­amente avanti quando esplose il Black Album (era uscito lo stesso anno, ma in provincia tutto andava più lentamente, compresa la diffusione delle cassette pirata), e pezzi come

Nothing Else Matters, Enter Sandman o The Unforgiven finirono nelle cuffie di tutti. Erano già dei Metallica diversi — «Più commercial­i», dicevano quelli di quinta con espression­e da critici consumati —, e se li vedevo conquistar­e definitiva­mente le tasche degli zaini Invicta a danno degli Iron Maiden, il mio interesse si spostava sul tardo hardcore della Epitaph. Pure, quel fulmine aveva lasciato un segno profondo, come le figure di Lichtenber­g che restano sui corpi di chi è stato colpito da una vera folgore, e sarebbe rimasto con me. Ma i tempi cambiano, e invece di apparir più grandi, l’esigenza sopravvenu­ta è diventata quella di restare, per quanto possibile, giovani: e così, Ride The Lightning, ormai in versione mp3, viene selezionat­o nel telefono e sparato nelle cuffie (che nel frattempo hanno perso i fili) quando si va a correre.

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Da sinistra Kirk Hammett, classe 1962, chitarra; Lars Ulrich, 1963, batteria; James Hetfield, 1963, voce solista e chitarra; Robert Trujillo Veracruz, 1963, basso
(Miller/Afp) Inossidabi­li Da sinistra Kirk Hammett, classe 1962, chitarra; Lars Ulrich, 1963, batteria; James Hetfield, 1963, voce solista e chitarra; Robert Trujillo Veracruz, 1963, basso

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