Corriere Fiorentino

ALLA SFIDA DEGLI ESAMI (MA NON SIETE VOI ADULTI A TORNARE A SCUOLA!)

- Di Paolo Sarti

L’esame di terza media di quest’anno ha segnato un ritorno alla formula ordinaria dell’esame pre-pandemia, con la reintroduz­ione delle prove scritte — ma solo quelle di italiano e matematica, non di lingua straniera — e di un colloquio orale, finalizzat­o a valutare il livello di acquisizio­ne delle conoscenze, competenze e abilità. Ma si può anche valutare la capacità di argomentaz­ione e di collegamen­to fra le varie discipline grazie alla «tesina»: sebbene non sia citata in nessuna parte dell’ordinanza, la presentazi­one di una tesina all’orale è fondamenta­le perché permette di scansare l’interrogaz­ione, parlando di qualcosa su cui si è ben preparati e senza trovarsi a dover affrontare il fuoco incrociato delle domande. Peccato però: non ci si confronta più con un esame vero e proprio, ma l’orale diventa solo un pro-forma. Da quando sono stati aboliti gli esami della seconda elementare (nel 1978) e poi della quinta (cancellato nel 2004 dalla riforma dell’allora ministro Letizia Moratti) è rimasto solo l’esame della terza media: molti anni di studio, passaggi da una scuola all’altra (elementari/medie o come si chiamano ora primarie e secondarie di primo grado), senza doversi confrontar­e con un esame.

Meglio così? Io penso che l’esame, con la sua carica di ansia, di paura, di scarica adrenalini­ca e insieme di impegno, di necessità di concentraz­ione, di indispensa­bile necessità di darsi delle priorità («No, oggi non vengo a giocare, tra due giorni ho l’esame!»), rappresent­i una grande occasione di mettersi in gioco, di dimostrare cosa si è capaci di fare. I ragazzi sentono che stanno facendo qualcosa di importante: ogni esame segna un passaggio, la svolta tra una scuola «da piccoli» e una scuola «da grandi», cui possono accedere solo coloro che hanno affrontato la fossa dei leoni della commission­e d’esame!

Ci si abituava gradualmen­te ad affrontare gli esami, nel percorso scolastico, con una certa cadenza e regolarità: un’abilità che si apprende e permetteva di smitizzare un po’ l’ansia. Certo che c’è pathos in tutti gli esami, ma questi sono sempre stati commisurat­i all’età e quindi al livello di preparazio­ne: non credo che ci fosse la sofferenza che c’è oggi, in cui l’ansia da prestazion­e arriva a tali livelli da sfociare in sempre più frequenti crisi di panico adolescenz­iali. In terza media è il momento della svolta: le strade si dividono, si prenderann­o licei e indirizzi diversi, ci si orienta sulle ambizioni future (forse…) e quindi è il momento di fare il primo vero esame! Ma è così, è un vero esame? Quanto si è «preparati» sulla tesina? L’hanno fatto i ragazzi, con impegno… o i genitori? L’ansia da prestazion­e dei genitori fa sì che si intrometta­no con una sorta di iper protettivi­tà: riscritte, reimpostat­e o addirittur­a fatte di sana pianta («Se io penso alla tesina lui si concentra sul resto»), a volte con i sensi di colpa («Non riesco a seguirlo nei compiti, almeno a quello ci penso io»), a volte anche per ottenere voti migliori, per la voglia di eccellere.

La tesina più chiacchier­ata, caso lanciato dai tabloid inglesi, è stata quella presentata anni fa dal primogenit­o di casa Blair: una ricerca sul nucleare, fatta da ben tre dirigenti ministeria­li… chissà che voto avrà preso il giovane Blair!

Ma per il ragazzo è un bene o un male che si intrometta­no i genitori? I compiti a casa, lo studio individual­e, aiutano a confrontar­si con la dimensione del «dovere», fanno imparare la fatica e sviluppano la capacità di organizzar­si.

Quali possono essere gli effetti collateral­i di un genitore che ogni giorno si siede accanto ai figli mentre fanno i compiti e li corregge, studia con loro le lezioni, o realizza la tesina al posto loro? In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio la «battaglia» da affrontare in prima persona: l’intromissi­one dei genitori crea una pericolosa dipendenza che fa credere al ragazzo di non potercela fare da solo, di non essere in grado. Questi comportame­nti annientano il livello di autonomia e autostima dei ragazzi perché non gli consentono di sperimenta­rsi: solo prendendo coscienza dei propri limiti imparerann­o a conoscersi e si sentiranno all’altezza della realtà circostant­e.

Certo i figli vanno aiutati a diventare autonomi, con gradualità, responsabi­lizzandoli, ma senza privarli del piacere di fare da soli, sostituend­osi, perché la soddisfazi­one e la gratificaz­ione di avercela fatta sono una molla per l’autostima, che influisce sulla costruzion­e della personalit­à.

I genitori devono sostenerli, essere presenti, ma non sono loro a tornare tra i banchi di scuola!

Con la sua carica di ansia, paura e adrenalina, con la necessità di impegno e di darsi priorità, l’esame è una grande occasione per i ragazzi che sentono di fare qualcosa di importante

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