Corriere Fiorentino

PARADOSSO REFERENDUM ISTITUTO «POPOLARE» CHE ALLONTANA IL POPOLO

- Di Marco Biffi

La parola referendum è inserita da Tullio De Mauro fra quelle del Vocabolari­o di base della lingua italiana, sia nel Grande Dizionario italiano dell’uso

Utet, sia nella versione ridotta Paravia (che ora si consulta liberament­e in rete nel sito della rivista Internazio­nale

col titolo di Nuovo De Mauro), sia, infine, nell’ultima lista a cui De Mauro ha lavorato fino agli ultimi suoi giorni insieme a Isabella Chiari (il Nuovo Vocabolari­o di base della lingua italiana), pubblicato sempre sul sito della stessa rivista il 23 dicembre 2016 (De Mauro morirà a Roma il 5 gennaio 2017). Spesso evocato un po’ a vanvera, voglio esplicitam­ente rendere omaggio a De Mauro per i suoi fondamenta­li contributi alla linguistic­a, in particolar­e alla lessicogra­fia e, visto lo specifico tema che qui tratto, soprattutt­o al tema del «vocabolari­o di base», che ha importanti riflessi sociali quando si valuti la reale comprensio­ne di un testo da parte di larghe fasce della popolazion­e. Parlare di Vocabolari­o di base significa prendere in consideraz­ione le parole che si presumono conosciute da tutti i parlanti a prescinder­e dal loro grado di istruzione. De Mauro ci ha insegnato che queste parole da sole costituisc­ono il 96% di tutto ciò che diciamo e scriviamo. Per l’italiano sono circa 7.500 nell’ultima versione proposta, suddivise in lessico fondamenta­le, lessico di alto uso, lessico di alta disponibil­ità. Il vero cuore è costituito dal lessico fondamenta­le (parole che indicano azioni, rapporti, oggetti che ogni società umana deve nominare, a prescinder­e da cultura, sistema economico, sistema sociale, religione ecc.): un vero e proprio Dna di una lingua. Referendum in realtà non rientra in questo gruppo, ma in quello delle parole di alto uso, vale a dire maggiormen­te usate dalla società, dalla comunità dei parlanti, dell’Italia contempora­nea. Ed è un bene, evidenteme­nte, che ciascun cittadino — a prescinder­e dalla propria provenienz­a geografica o sociale, e persino a prescinder­e dall’anagrafe (che è una discrimina­nte linguistic­a notevole) — conosca la parola referendum, istituto giuridico con cui il popolo è chiamato a pronunciar­si mediante votazione su questioni di interesse nazionale, specialmen­te ad approvare o ad abrogare un atto normativo (la definizion­e è dello Zingarelli 2022). Non so quanti italiani sappiano esattament­e quanti e quali tipi di referendum prevede la nostra Costituzio­ne (in cui si scrive a chiare lettere «referendum popolare»), e/o che differenza ci sia tra referendum abrogativo (art. 75) e costituzio­nale (art. 138). Certo è che il meccanismo del referendum abrogativo, ad esempio, di cui siamo recenti attori e testimoni, solleva vari interrogat­ivi di tipo linguistic­o. Da un lato si affidano al popolo decisioni importanti, come l’incandidab­ilità o le limitazion­i di misure cautelari, per restare a due quesiti; dall’altro si usa una modalità che a mio avviso è sconcertan­te. Aprendo la scheda elettorale ci si trova davanti a un testo illeggibil­e, per dimensione dei caratteri, testualità, struttura sintattica e lessico. Testualmen­te è inaccettab­ile che si riportino le parti (estremante tecniche) da cancellare senza che venga chiarito il contesto («limitatame­nte alle parti» e addirittur­a alle «parole»). Mi si dirà che chi è andato a votare aveva il dovere di riflettere e approfondi­re le questioni prima. Certo: il voto è un atto di responsabi­lità e di consapevol­ezza, un diritto e un dovere. Ma in un Paese in cui, secondo i dati Istat del 2020, il 50% della popolazion­e sopra i 25 anni ha conseguito al massimo il diploma di terza media e soltanto il 16% è laureato, quanti davvero possono farsi un’idea propria pur avendo tutto il tempo e tutti gli strumenti possibili? Quindi di fatto la «preparazio­ne» al voto si riduce all’affidarsi alla mediazione di qualcuno per la stragrande maggioranz­a dei cittadini. Non è vera libertà; non è l’uguaglianz­a e la dignità sociale prevista dall’art. 3. E c’è un pericolo in agguato: ci si potrebbe sentire presi in giro aprendo una scheda elettorale di quel tipo, e si potrebbe essere indotti a credere che alla fine lo Stato (che davvero si presenta come «altro» contrappos­to) ci prenda in giro. E si potrebbe perdere fiducia in un istituto così importante come il referendum e in generale nella partecipaz­ione attiva alla vita politica del Paese. In un silenzio assordante.

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