Corriere Fiorentino

Ai figli 500 euro al mese meno dei padri

La ricerca delle Acli: in Toscana si allarga la differenza di reddito tra generazion­i

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I trentenni guadagnano meno dei genitori, mentre si conferma la differenza tra uomini e donne negli stipendi. È quanto emerge dallo studio «I redditi dei lavoratori dipendenti in Toscana», stilato da Iref su dati dei Caf Acli per il 2020. Il gap salariale a livello di lavoratori dipendenti è pari a poco più di 6.500 euro, una media di più di 500 euro al mese. In pratica, il figlio potrebbe guadagnare fino al 32,5% in meno.

«La questione dei figli che guadagnano meno dei padri è un dramma del nostro tempo». Sono le parole dell’economista Stefano Zamagni, ex presidente dell’Agenzia per il terzo settore, attuale presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali.

Professore, perché si tratta di un dramma?

«Perché i giovani soffrono tantissimo nel vedere i padri o le madri che guadagnano talvolta anche il doppio di loro, che hanno costruito brillantem­ente la loro vita profession­ale mentre loro, alla soglia dei trent’anni, o magari dei quarant’anni, sono ancora precari, motivo per cui provano rabbia, si sentono frustrati, credono di essere inferiori»

Secondo lei questo sta alla base dell’attuale disagio giovanile?

«Certamente c’è anche questo aspetto».

Ma perché i giovani guadagnano meno degli adulti?

«Perché oggi la scuola e la laurea trovano sul mercato del lavoro poche opportunit­à. Il risultato è che quando un ragazzo o una ragazza escono dalle università, magari lo trovano un lavoro, ma un lavoro che non sempre rispecchia quello per cui hanno studiato e quindi meno remunerato rispetto a quello dei genitori».

Quindi la colpa è del mondo scolastico e universita­rio?

«In buona parte sì, andrebbe completame­nte riformato. Ci sono soltanto poche università che riescono a salvarsi. Per la maggiora parte, il mondo formativo non riesce a realizzare una convergenz­a seria tra scuola e lavoro, e così molti studenti arrivano alla laurea ma poi non sanno che farsene e si ritrovano a fare i camerieri».

Ma non era così anche 30 anni fa?

«Non proprio, perché trent’anni fa non c’era ancora stata la quarta rivoluzion­e industrial­e, ovvero quella dell’intelligen­za artificial­e, che rende obsoleti i saperi precedenti».

Può fare un esempio?

«Se trent’anni fa diventavi ingegnere, con quei saperi potevi andare avanti tutta la vita o quasi. Adesso invece le cose stanno diversamen­te. Se tu oggi diventi ingegnere, o magari medico, dopo cinque anni se non segui tutta una serie di aggiorname­nti finisci che resti fuori e devi accontenta­rti di lavori per i quali non hai studiato».

Come cambiare le cose?

«Le imprese devono smettere di essere egoiste, devono alzare i livelli di formazione, non possono delegare lo Stato per questo perché lo Stato non ha soldi, le imprese devono mettersi insieme alle Università per sviluppare progetti di formazione in questo senso. Il mondo scolastico e universita­rio deve lavorare con più incisività sulla convergenz­a formazione-lavoro».

Le imprese devono smettere

di essere egoiste, devono non possono delegare tutto allo Stato che non ha più soldi

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