SE ANCHE LA LEGGE SFARFALLA
Del repertorio lessicale degli anni Trenta erano sopravvissuti due popolari neologismi: la «littorina» (l’automotrice) e il calciobalilla, così chiamato in onore del «ragazzo di Portoria» che scatenò a Genova la rivolta contro gli austriaci. Il primo termine è uscito dal linguaggio corrente, il calciobalilla, detto anche biliardino, o calcino, è invece sopravvissuto. Interclassista e bipartisan, fa parte dell’arredo vintage di case del popolo e ricreatori parrocchiali, di circoli dei canottieri e di dopolavoro aziendali, nonché naturalmente di stabilimenti balneari. Nei bagni di Viareggio faceva parte della dotazione d’ordinanza, insieme al tavolo da ping-pong e all’altalena con gli anelli, prima che quest’ultima fosse eliminata perché aveva dato luogo a qualche incidente. Oggi, però, il calciobalilla potrebbe scomparire non perché provoca infortuni, ma per l’infortunio in cui è incappato il burocrate ministeriale che, equiparandolo alle slot machine, impone pesanti adempimenti burocratici e non indifferenti oneri fiscali ai locali che ne sono provvisti. Il provvedimento risale al 18 maggio dello scorso anno, ma è entrato in vigore solo all’inizio di questo mese, suscitando un allarme non ingiustificato, visto che anche detenere un solo biliardino, magari offerto a titolo gratuito ai visitatori, comporterà una tassazione pari all’8 per cento dell’imponibile forfettario oltre il limite Iva.
Che un momento ludico come una partita a biliardino possa essere parificato al gioco d’azzardo è un’idea che poteva maturare solo in una mente incline a cercare l’evasore anche dove non c’è, come certi censori dell’Italia anni Cinquanta erano capaci di trovare la malizia anche in un banale gioco di parole. Ma c’è da chiedersi fino a che punto giovi alla nostra tanto agognata ripartenza questa tendenza a fare del sacrosanto dovere di combattere l’evasione fiscale l’alibi per rendere sempre più complicata la vita al cittadino, specialmente quando gestisce un’attività economica, magari senza fini di lucro. Se in Puglia hanno cominciato a fioccare le prime multe — fino a 4.000 euro, prevede la norma — sulla costa toscana sono arrivati i primi controlli. E gestori disgustati da un’imposizione vessatoria quanto assurda hanno cominciato a fare sparire i cari vecchi biliardini. E questo è forse il vero pericolo. Se il decreto non sarà abrogato, rischierà di verificarsi quanto accaduto una trentina di anni fa, quando uno degli ultimi ministri delle Finanze della prima repubblica impose a chi prendeva a noleggio un patino l’obbligo di remare con al seguito la ricevuta fiscale, protetta non si capisce come dagli spruzzi delle onde. Molti balneari si disgustarono — la domanda di piccoli natanti era già in calo — e uno dei simboli della Versilia, il patino, agile e slanciato, a differenza del pedalò dell’Adriatico, scomparve quasi dalle spiagge, mezzi di salvataggio a parte. Ora rischia di scomparire un altro frammento della nostra memoria, uno dei simboli delle eterne estati viareggine anni Sessanta, col loro contorno di feroci invettive nei confronti di chi «sfarfallava» con le manopole, di palline fortunosamente recuperate prima che entrassero in buca, per risparmiare sulle cinquanta lire necessarie per una nuova partita, ma anche di sudati pomeriggi trascorsi fra le cabine a contendersi il tavolo di ping-pong (quello era gratuito) e poi sciamare — ma in maglietta e calzoncini, perché a torso nudo si sarebbe rischiata una multa — verso il più vicino caffè della Passeggiata, per assistere ai successi di Gimondi o
Nencini al Tour. Non è però soltanto una questione di Italian Graffiti. L’accanimento nel tassare i biliardini — e perché non le partite a tamburello? — è indice di quella tendenza della classe politicoburocratica a pretendere di regolamentare tutto, invece di semplificare la vita a chi lavora. Un discorso molto lungo, e troppo serio, rischia così di prendere spunto da un gioco per ragazzi o per adulti rimasti sempre un po’ tali. Resta il fatto che il calciobalilla rischia di morire per colpa di un autogol della burocrazia. O meglio, come avrebbe detto il decano dei radiocronisti Niccolò Carosio, di un’autorete.