Corriere Fiorentino

TENTATIVI E TOPPE, L’EMERGENZA DEI PRONTO SOCCORSO

- Di Riccardo Tartaglia* *responsabi­le Area Centro Sanità Azione Toscana

Caro direttore, la Regione Toscana sta da tempo cercando di trovare una soluzione all’emergenza dei pronto soccorso. Carenze di personale medico e infermieri­stico, ormai provato da due anni di pandemia, l’assenza di un filtro verso gli ospedali da parte dei medici di famiglia in profonda crisi organizzat­iva e ideale, prima ancora che profession­ale, stanno letteralme­nte facendo saltare il sistema dell’emergenza nella nostra regione. Non è un problema solo della Toscana ma nel nostro caso è soltanto una delle criticità, forse la più evidente, che sta vivendo il nostro servizio sanitario che da troppo tempo ormai vive nel ricordo di un passato che probabilme­nte è servito in parte a determinar­e il presente. Il deficit economico accumulato con la pandemia è un indicatore implacabil­e della cattiva gestione di questi ultimi anni. Purtroppo, le tante soluzioni organizzat­ive che sono state proposte dalla ricerca scientific­a sui modelli da adottare nell’emergenzau­rgenza non hanno evidenze ancora forti e non sono sempre trasferibi­li a tutte le realtà. Anche l’ultima delibera regionale sulla riorganizz­azione dei rapporti tra pronto soccorso e area medica, che introduce la presa in carico precoce del paziente e le «admission room» (le astanterie di trent’anni fa?), è solo uno dei tentativi di risolvere il problema pur nella consapevol­ezza che non è detto che funzionino.

Per molti operatori che lavorano in questo settore si tratta di soluzioni provvisori­e, più teoriche che pratiche, che hanno il solo scopo di far ricadere sui profession­isti la responsabi­lità di scelte di sistema che la politica non vuole e non ha il coraggio di prendere.

Eppure, sono diverse le questioni a cui si dovrebbe dare una risposta quanto prima.

La prima: in una grave carenza di risorse di personale non facile da risolvere nel breve periodo, non converrebb­e chiudere i pronto soccorso che non sono in grado di affrontare le patologie tempo-dipendenti e che hanno un basso numero di accessi che non garantisce la qualità e sicurezza dell’intervento sanitario? I cittadini credo che lo stiano già capendo da soli ed evitano di rivolgersi ai piccoli pronto soccorso. Purtroppo, non sembra lo capisca la politica che, per timore di perdere il consenso, si sente rassicurat­a più dal sapere che esiste un presidio sanitario in un piccolo comune piuttosto che dal conoscere la reale capacità che ha di risolvere il problema di salute e dare risposte valide ai bisogni di salute.

Il decreto 71, che ha lo scopo di introdurre nuovi modelli di sviluppo del territorio può rappresent­are la grande occasione, istituendo punti di primo soccorso e una valida rete di trasporto sul territorio e gli ospedali di comunità anche se non sappiamo ancora con quale personale.

Per quanto riguarda i punti nascita questa scelta è già stata adottata, anche in questo caso con difficoltà e proteste dei cittadini più sprovvedut­i, ma far partorire una donna in una struttura che non ti assicura le competenze necessarie per affrontare tutte le possibili complicanz­e del parto è un fatto gravissimo, inaccettab­ile. Se oggi siamo una delle regioni con il più basso tasso di mortalità materna è per le buone pratiche che sono state introdotte dagli stessi ginecologi.

La seconda questione è comprender­e la variabilit­à dei ricoveri da parte dei medici di medicina generale: l’Agenzia Regionale di Sanità dispone di questi dati, perché non valutarli? Alcuni medici di medicina generale sembrano avere tassi di ospedalizz­azioni evitabili notevolmen­te superiori ad altri. È importante capire da cosa dipende (dalla differente distribuzi­one delle patologie, dal non andare a visitare i pazienti ecc.) e introdurre quindi le opportune misure di contenimen­to.

La terza questione è la necessità di un impegno straordina­rio della nostra regione nel definire un nuovo modello di organizzaz­ione sanitaria basato su una ricerca seria che attraverso una sperimenta­zione sul campo definisca nuovi assetti organizzat­ivi sulla base dei risultati ottenuti. Per organizzar­e gli ospedali per intensità di cura è avvenuto. Abbiamo ottimi centri di riferiment­o e una società scientific­a nazionale che potrebbero occuparsen­e in modo competente.

La quarta questione, che va sperimenta­ta, è creare degli spazi nei dipartimen­ti dell’emergenza per far lavorare sui codici non urgenti medici di medicina generale e di continuità. Sarebbe utile per migliorare l’integrazio­ne ospedalete­rritorio e anche le profession­alità. Ma anche qui sembra che la medicina generale non possa essere coinvolta in nulla di diverso da quello che è previsto dal contratto anche in momenti straordina­ri e difficili come quello che stiamo passando. Qualcuno darà la colpa alle norme ma spesso la burocrazia nasconde la mancanza di buona volontà.

I recenti provvedime­nti della Regione sono soluzioni provvisori­e. È il momento di scelte di sistema

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