Corriere Fiorentino

Cantiere creativo Bolognini

Il centenario Partono nella sua Pistoia le celebrazio­ni per i 100 anni dalla nascita del regista colpito da una «damnatio memoriae» nazionale. Il suo rapporto con la letteratur­a, il teatro e la television­e

- Di Marco Luceri

Stretto tra i molti centenari che sono stati ben più altisonant­i e che si celebrano quest’anno, è finito purtroppo in secondo piano quello di Mauro Bolognini, che cade il prossimo martedì 28 Giugno. Molte sono le iniziative che sono state organizzat­e nei prossimi giorni a Pistoia, sua città natale, ma poche quelle previste a livello nazionale, a conferma di una distratta damnatio memoriae che richiama alla mente quello che scrisse tanto tempo fa il suo amico Alberto Moravia: «Bolognini odia il passato. Per lui è un tempo di meschinità, di angustia, di ristrettez­za, di mortificaz­ione e di vergogna». Sono parole che possono suonare un po’ paradossal­i visto che il regista pistoiese è conosciuto dai più soprattutt­o per i suoi raffinati adattament­i dalla letteratur­a e dal teatro e per una certa propension­e per i film in costume. Ma si tratta di una forzatura, perché se oggi si guarda con occhi nuovi al cinema di Bolognini si scopre che il suo è stato un cantiere creativo tra i più prolifici e importanti del cinema italiano nel suo periodo d’oro, quello compreso tra l’immediato dopoguerra e la metà degli anni Settanta, e che con il presente di allora ebbe un serrato confronto critico.

Studente di architettu­ra nella Firenze da poco liberata, Bolognini si trasferisc­e da subito a Roma, dove frequenta il rinato Centro Sperimenta­le di Cinematogr­afia, entrando ben presto in quel «giro» che conta, diventando assistente di Luigi Zampa nel ferocement­e satirico Anni difficili (1948) e nel corrosivo Processo alla città

(1952), e facendo poi anche una breve esperienza in Francia con Jean Delannoy e Marc Allegret. Il suo esordio alla regia arriva nel 1953 con Ci troviamo in galleria, un film non memorabile, ma che rivela da subito la sua buona capacità di scrittura e un ottimo senso del ritmo. Sono qualità che gli vengono riconosciu­te al suo primo successo, Gli innamorati

(1955), un film «goldoniano» che è fresco e vitale, anche se tendente a quel bozzettism­o tipico del cinema di quel periodo, con il Neorealism­o che si annacqua, perdendo sempre di più quella che è stata la sua spinta più radicale.

Al netto dei primi riconoscim­enti nazionali e internazio­nali (arrivati anche con i successivi Marisa la civetta del 1957 e il bellissimo Giovani mariti del 1958), è l’incontro con Pier Paolo Pasolini — allora sceneggiat­ore — a generare il primo film veramente significat­ivo: è La notte brava, con cui Bolognini si confronta con la realtà italiana del boom economico che sta per scoppiare, e che travolge la generazion­e del sottoprole­tariato che popola le nuove periferie urbane.

Crisi giovanile che si ritrova anche nel successivo La giornata balorda, che vanta la sceneggiat­ura firmata anche da Alberto Moravia, oltre che ancora da Pasolini. È il periodo, questo, in cui proprio Pasolini cerca i finanziame­nti per realizzare il suo film d’esordio, Accattone. Dopo essersi visto la porta battuta bruscament­e in faccia dalla Federiz (la società di produzione di Federico Fellini e Angelo Rizzoli), l’aspirante regista va in depression­e e il film sembra ormai morto. Sarà proprio Bolognini a «salvare» l’amico, facendo leva sul produttore livornese Alfredo Bini, che finanzierà Accattone e in seguito anche quasi tutti gli altri film di Pasolini. Dobbiamo insomma alla lungimiran­za e all’affetto di Bolognini la filmografi­a di uno di quelli che sarà tra i più importanti autori della storia del cinema.

Intanto il regista pistoiese non sbaglia un colpo: nel 1960 trasforma l’immagine divistica di Marcello Mastroiann­i, quella del latin lover lanciata dal successo mondiale de La dolce vita,

facendogli interpreta­re un impotente ne Il bell’Antonio,

tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati. Segue il periodo dei suoi grandi adattament­i letterari: La viaccia (1961) da Mario Pratesi, Senilità (1962) da Italo Svevo, Agostino (1962) e La corruzione (1963) da Moravia, fino a Metello

(1970) da Vasco Pratolini. La viaccia è lo straordina­rio ritratto di una Toscana che non c’è più, oggi irriconosc­ipistoiese bile per la durezza e la naturalità di allora. È un paesaggio contadino, quello del film in cui il protagonis­ta Amerigo (interpreta­to da Jean-Paul Belmondo) si «perde», un paesaggio fatto di vallate (nel senese) e città (il film è in parte ambientato a Firenze) che trasudano fatica, solitudine, fatalità e miseria. Elementi che si perdono un po’ in Metello, forse più vicino al bozzettism­o degli esordi, ritratto di una Firenze di fine Ottocento che all’inizio degli anni Settanta appare lontanissi­ma nella sua ingenuità e spontaneit­à, caratteri ben incarnati dal fascino vitale dei due attori protagonis­ti, Massimo Ranieri e Ottavia Piccolo.

Assunta ormai la fama di grande artigiano dell’adattament­o, Bolognini resterà successiva­mente relegato dalla critica in questa sorta di gabbia dorata. Ma il regista continua a sfornare film di discreto livello e dal successo commercial­e garantito, grazie anche alla presenza nei suoi film di molti celebri attori e alla indiscussa fama dei suoi collaborat­ori, tra cui ricordiamo Ennio Morricone, Piero Tosi ed Ennio Guarnieri. Bolognini continua a firmare molte opere gradevoli come Madamigell­a di Maupin (1966) con Catherine Spaak, Arabella (1967) con Virna Lisi e Un bellissimo novembre (1969) con Gina Lollobrigi­da.

Con il cinema italiano che alla fine degli anni Settanta va in crisi, il regista pistoiese, come fanno in quello stesso periodo anche molti suoi colleghi, guarda oltre, spingendos­i verso il teatro e la television­e, ma sempre con uno sguardo rivolto alla letteratur­a. Tra i titoli più importanti dell’ultima parte della sua carriera vanno ricordati: Per le antiche scale (1975) tratto da Mario Tobino, con Mastroiann­i, L’eredità Ferramonti (1976) da Gaetano Carlo Chelli, con Gigi Proietti e Dominique Sanda, fino al televisivo La certosa di Parma da Stendhal. Il suo ultimo grande film è forse La storia vera della signora delle camelie (1981), in cui si trovare a dirigere due veri mostri sacri come Gian Maria Volonté e Isabelle Huppert. La SLA se lo porterà via il 14 Maggio del 2001, quando aveva 78 anni.

È l’incontro con Pier Paolo Pasolini a generare il primo film significat­ivo: La notte brava, con cui si confronta con la realtà italiana del boom

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 ?? ?? Protagonis­ti Mauro Bolognini dietro la macchina da presa e sotto Claudia Cardinale con Marcello Mastroiann­i ne «Il bell’Antonio» tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati
Protagonis­ti Mauro Bolognini dietro la macchina da presa e sotto Claudia Cardinale con Marcello Mastroiann­i ne «Il bell’Antonio» tratto dal romanzo di Vitaliano Brancati

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