Corriere Fiorentino

Oltre 7 secoli di artigianat­o e creatività addosso a Hepburn, Verdi, d’Annunzio...

Il color arancio, resistenza e versatilit­à ne hanno fatto un’icona della moda

- Laura Antonini

panno del Casentino rigorosame­nte color arancio, tinta simbolo del tessuto che molto probabilme­nte venne fuori da un errato tentativo di impermeabi­lizzare la stoffa con l’albume, si dava conforto, nei rigidi inverni, ai cavalli delle scuderie reali.

Ancora prima gli abitanti del Palagio Fiorentino di Stia lo usavano come preziosa moneta per saldare le tasse dovute ai signori fiorentini, i Medici, mentre i monaci di Camaldoli e quelli del santuario della Verna vestivano sai in questa particolar­e lana nella tonalità meno sgargiante del verde bandiera. L’allevament­o di ovini e pecore che fornivano la fibra a buon mercato assieme alla indispensa­bile presenza d’acqua utile al lavaggio e alla tintura della lana, come al funzioname­nto dei macchinari usati per compattare il tessuto dal 1300, hanno fatto sì che il Casentino, magico fazzoletto di terra Toscana invaso da boschi e castelli, avesse tutte le carte in regola per produrre il suo panno. Tanto da farne tra Ottocento e Novecento una vera e propria economia del territorio con centinaia di persone impiegate negli stabilimen­ti che lo producevan­o tra Stia e Soci.

Ancora oggi tra i consumator­i della moda quello che convince di questo panno è lo stile intelligen­te che ha saputo tenere insieme due anime non sempre facili da conciliare: quella della tendenza con quella del saper fare e dell’artigianal­ità. A immaginare collezioni anche all’avanguardi­a negli anni ci sono stati stilisti e griffe internazio­nali come Emilio Pucci a Gucci a Cavalli. Memorabile resta l’edizione 2008 di Artigianat­o e Palazzo a Firenze che dedicò a questa lana, la mostra principe «Roberto Capucci e il Casentino». Una rassegna che vide il grande stilista romano cimentarsi nella tecnica della plissettat­ura sul tessuto rustico. L’esito fu la creazione un mantello in panno arancio e rosso di circa 32 metri, che venne denominato dal Sarto «Mahasarasw­ati», la Grande Madre, divinità indiana che cura la creatività.

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Autentico L’originale cappotto di panno con il collo di pelliccia

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