Oltre 7 secoli di artigianato e creatività addosso a Hepburn, Verdi, d’Annunzio...
Il color arancio, resistenza e versatilità ne hanno fatto un’icona della moda
panno del Casentino rigorosamente color arancio, tinta simbolo del tessuto che molto probabilmente venne fuori da un errato tentativo di impermeabilizzare la stoffa con l’albume, si dava conforto, nei rigidi inverni, ai cavalli delle scuderie reali.
Ancora prima gli abitanti del Palagio Fiorentino di Stia lo usavano come preziosa moneta per saldare le tasse dovute ai signori fiorentini, i Medici, mentre i monaci di Camaldoli e quelli del santuario della Verna vestivano sai in questa particolare lana nella tonalità meno sgargiante del verde bandiera. L’allevamento di ovini e pecore che fornivano la fibra a buon mercato assieme alla indispensabile presenza d’acqua utile al lavaggio e alla tintura della lana, come al funzionamento dei macchinari usati per compattare il tessuto dal 1300, hanno fatto sì che il Casentino, magico fazzoletto di terra Toscana invaso da boschi e castelli, avesse tutte le carte in regola per produrre il suo panno. Tanto da farne tra Ottocento e Novecento una vera e propria economia del territorio con centinaia di persone impiegate negli stabilimenti che lo producevano tra Stia e Soci.
Ancora oggi tra i consumatori della moda quello che convince di questo panno è lo stile intelligente che ha saputo tenere insieme due anime non sempre facili da conciliare: quella della tendenza con quella del saper fare e dell’artigianalità. A immaginare collezioni anche all’avanguardia negli anni ci sono stati stilisti e griffe internazionali come Emilio Pucci a Gucci a Cavalli. Memorabile resta l’edizione 2008 di Artigianato e Palazzo a Firenze che dedicò a questa lana, la mostra principe «Roberto Capucci e il Casentino». Una rassegna che vide il grande stilista romano cimentarsi nella tecnica della plissettatura sul tessuto rustico. L’esito fu la creazione un mantello in panno arancio e rosso di circa 32 metri, che venne denominato dal Sarto «Mahasaraswati», la Grande Madre, divinità indiana che cura la creatività.