L’UNIVERSITÀ ESTENUATA NON TOGLIAMOLE ANCHE LA COMUNITÀ
Ètempo di vacanza, ma, per molti studenti usciti dalla maturità, anche di scegliere un percorso di formazione futura in una delle università italiane o straniere. Università è una parola trasparente che rischia ormai di essere opaca, per varie ragioni. Per ragioni linguistiche, dal momento che ormai la frequentazione con la lingua latina diventa sempre più labile per gli italiani delle ultime generazioni. Per ragioni economiche, politiche e ideologiche, dal momento che l’università italiana è da molti anni sotto attacco, depauperata ed estenuata su ogni fronte. Depauperata finanziariamente, visti gli stanziamenti del tutto insufficienti per garantirne un corretto funzionamento all’avanguardia e al passo con le università straniere a cui ci si richiama continuamente con vuote parole d’ordine sull’internazionalizzazione. Ora si apre uno spiraglio con il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza: ma nel nostro Paese gattopardesco, dove tutto cambia perché tutto rimanga com’era, che cosa succederà?
Resilienza indica la capacità di un soggetto o di un sistema di resistere a sollecitazioni che ne minano l’equilibrio, un po’ come fa la racchetta da tennis: prima assorbe l’energia cedendo per qualche millimetro e poi, alla fine della resistenza, recupera e respinge la palla. L’università (con la scuola) avrebbe ben diritto di avere benefici dal Pnrr, perché nel nostro Paese non c’è niente di più resiliente di università e scuola, quasi sempre sostenute dalla passione dei singoli più che da strategie di sistema. Depauperata moralmente, da campagne denigratorie sui giornali e sulla rete (anche usando canali impropri, come il sito Academia.edu, creato in realtà per un libero scambio degli studi scientifici). Campagne che hanno messo alla pubblica berlina un’intera compagine vitale della nazione, senza motivo. Francesco Ramella, dopo l’ennesima cerimonia di messa al rogo in un noto quotidiano nazionale, nell’articolo Giù le penne dall’università pubblica comparso in rete sulla rivista il Mulino, insisteva su un mero dato quantitativo: 91 indagati su 57 mila accademici, ossia lo 0,33%. E aggiungeva che nel 2017 i condannati di ogni reato (con sentenza di primo o secondo grado) in Italia erano lo 0,34%: con lo stesso ragionamento gli italiani sarebbero tutti delinquenti. Estenuata, perché costretta a fare «nonostante» le norme che si accavallano negli anni in modo convulso e incoerente affastellando correttivi nei provvedimenti milleproroghe o nelle finanziarie a colpi di voti di fiducia. In venti anni non si è visto chiudere un ciclo di riforma senza che se ne fosse aperto un altro.
La parola università deriva dal latino universitas, vale a dire totalità; e con questo significato entra nella nostra lingua per specializzarsi, con l’aggiunta delle opportune precisazioni, nel significato di «corporazione o associazione di arti o mestieri»: università dei mercanti, università agraria, ecc. Sempre in epoca medievale prende anche il significato di istituto di studi superiori, sorto come corporazione di maestri e studenti; da cui quello del tutto moderno di istituto didattico e scientifico di ordine superiore, articolato (fino alla legge 240/2010 in più facoltà, ora in dipartimenti) secondo varie specializzazioni.
Il senso della totalità permane: università è la forma più comune, ma il nome vero e proprio è università degli studi, che rende conto del complesso studi che in essa si possono fare. Ma la parola, fin dall’epoca medievale, porta nel proprio Dna anche un altro tipo di totalità: quella della comunità di docenti e studenti. L’essere una comunità è fondamentale, ed essere comunità significa condividere gli stessi luoghi, frequentarsi, discutere e crescere al di là delle lezioni. Invece oggi un po’ tutti, nascondendosi dietro la pandemia e l’innovazione didattica, stanno spingendo verso un modello di comunità nebulizzata nell’isolamento della rete, a distanza. Pare che futuri studenti chiedano le registrazioni delle lezioni da seguire a distanza, minacciando di non iscriversi. Speriamo che le università, resilienti, rispondano con orgoglio che far parte fisicamente di una comunità e viverla concretamente è un valore aggiunto, non un problema; e che per questo davvero ci si adoperi, a tutti i livelli.