Ripresa, la locomotiva è già ferma
Pandemia, guerra, inflazione, crisi di governo: addio crescita. L’allarme: tenuta sociale a rischio
È realistico prevedere che la crescita della Toscana si azzeri nella seconda metà dell’anno, trascinando con sé anche un significativo ridimensionamento delle ipotesi di crescita formulate nei mesi scorsi per il 2023. Secondo il centro studi Ires della Cgil, la locomotiva della ripresa post pandemia si è già fermata all’inizio di quest’anno.
È realistico prevedere che la crescita della Toscana si azzeri nella seconda metà dell’anno, trascinando con sé anche un significativo ridimensionamento delle ipotesi di crescita formulate nei mesi scorsi per il 2023. Secondo il centro studi Ires della Cgil, la locomotiva della ripresa post pandemia si è già fermata all’inizio di quest’anno. Ma se la crisi di Governo dovesse comportare uno slittamento della seconda tranche 2022 del Pnrr, la Toscana rischierebbe di perdere quasi 37 miliardi di investimenti.
Circa 1,1 miliardi di euro di investimenti fissi lordi si perderebbe nel 2023. A fine 2026 un recupero solo parziale della seconda tranche 2022 porterebbe una riduzione degli investimenti pari a 3,4 miliardi. L’impatto sul Pil regionale sarebbe pari a un punto nel 2023 e di altri 0,2 punti tra 2024 e 2026. Nel complesso, la perdita netta nel periodo 2022-2026 sarebbe pari a 36,8 miliardi di investimenti, di cui la metà relativi all’indotto generato dal Pnrr. Uno scenario pesantissimo che mette a rischio la tenuta sociale.
«La guerra, la pandemia che ancora dà dimostrazione di sé, l’inflazione, i rincari, la crisi energetica, la crisi climatica, le crisi aziendali, i bassi salari, ora la crisi politica: c’è un quadro in grado di far deflagrare la tenuta sociale ed economica dell’Italia e della Toscana — avvisa la segretaria regionale della Cgil, Dalida Angelini — Servono risposte per cittadini e lavoratori, per evitare una pericolosa crisi sociale: è questa la priorità. Bisogna aumentare i salari e riformare il fisco, combattere la precarietà, costruire un nuovo stato sociale». Secondo Ires, il 2022 può già considerarsi un anno pesantemente segnato e compromesso rispetto alle aspettative della ripresa post pandemia. Se la guerra proseguirà ancora a lungo e l’Italia non tornerà presto ad avere un Governo saldamente in sella, ci troveremmo di fronte ad un ulteriore peggioramento.
I numeri del rapporto Ires diffuso ieri vanno quindi letti con estrema cautela perché sono esposti alla possibilità di una revisione in negativo pesante e repentina. Alla fine del 2021 l’export toscano è cresciuto dell’11,4% rispetto al 2020 e le previsioni davano una crescita del 3,6% attesa per gli anni 2022 e 2023. E pur tenendo fermo lo scenario positivo (cioè senza la guerra e senza la crisi di Governo), il valore aggiunto dell’industria toscana che è cresciuto del 12% nel 2021, nel 2022 sarebbe comunque calato dell’1,4% per poi ricrescere del 2% nel 2023.
La maggior crescita del valore aggiunto si è registrata nel 2021 per il comparto delle costruzioni (più 21,6%) che sono però state trainate dal Sueprbonus ormai tramontato: per questo settore le proiezioni sono di una crescita dell’8,2% nel 2022 e del 5,6% nel 2023. Il valore aggiunto reale complessivo (generato cioè da agricoltura, industria, servizi e costruzioni) è cresciuto del 6,8% nel 2021 ed era atteso crescere del 2% nel 2022 e del 2,3% nel 2023. Il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 3,6% nel 2021 e le previsioni indicavano una ulteriore crescita del 3,3% e del 3,8% rispettivamente nel 2022 e nel 2023. È evidente che questi ultimi numeri sono già stati cancellati dall’andamento dell’inflazione che, sempre secondo Ires, nel giugno 2022 è cresciuta del 7,8% rispetto al giugno 2021 con una stangata del 27,5% per la casa, il carburante e le bollette, con maggiori costi tra i 1.500 e i 2 mila euro annui a famiglia. Va da sé che le stime di una ripresa dei consumi si sono già perse nella nebbia. La crescita attesa del Pil — cresciuto del 6,9% nel 2021; dato in crescita del 2,7% nel 2022 e dell’1,7% nel 2023 — e quella degli investimenti — cresciuti del 16,5% nel 2021, dati in crescita del 7,9% nel 2022 e del 2,3% nel 2023 — sembrano ormai impossibili la raggiungere.
L’inflazione costerà alle famiglie tra i 1.500 e i 2 mila euro in più l’anno, le stime di una ripartenza dei consumi sono già evaporate