EDUCARE I BAMBINI A STARE A TAVOLA? VANTAGGIO DI LIBERTÀ
Per molti secoli, si è giudicato il livello di educazione e il carattere di una persona a partire dal suo modo di stare a tavola. L’atto di mangiare ha rappresentato sempre un momento di rispetto e di riverenza per tutte le civiltà del mondo, anche se è importante essere consapevoli che queste regole variano, sono specifiche del proprio contesto storico e geografico. Ad esempio, secondo il nostro galateo non bisogna bere la zuppa risucchiandola, ma i bambini giapponesi lo fanno… perché così gli insegnano gli adulti. Abbiamo tante testimonianze, alcune più antropologiche, altre più romanzate, dei primi incontri tra gli europei e popolazioni di paesi lontani, quando ancora le reciproche conoscenze erano nulle, in cui era facile scambiare per «maleducazione» i comportamenti altrui. Per i cinesi era offensivo porgere la tazza del tè con una mano sola, per gli arabi e gli orientali non esprimere il gradimento del pasto con un rutto, e via così… Ogni paese ha le sue abitudini a tavola e, quindi, quale «buona educazione» dobbiamo oggi insegnare ai figli? Come integrare le culture diverse e aggiornare la nostra? Certo non possiamo ancora rifarci alle regole codificate da monsignor Della Casa nel suo Galateo del 1550! E se può sembrare ridicolo e assurdo pensare alle nostre non lontane progenitrici che dovevano imparare a mangiare con un libro in testa e i giornali sotto le ascelle… neppure si può completamente ignorare la materia.
Insegnare ai bambini a comportarsi bene a tavola è sempre stato uno dei primi ed eterni compiti dei genitori. Spesso ora non sono tanto interessati a questo tema, forse perché fa troppa fatica, perché sembra una battaglia persa ripetere le stesse cose quotidianamente senza apparenti risultati. Ma forse anche perché non lo«vedono», perché loro stessi sono stati poco educati su questo aspetto. Quindi il tema dell’educazione a tavola può sembrare secondario, tra i tanti aspetti dell’educazione che devono affrontare. Sarebbe invece utile che ricordassero che anche questo è uno strumento di inserimento e accettazione sociale: trascurarlo può diventare nel tempo una difficoltà per il bambino, ed è necessario esserne consapevoli, che si rischia di offrirgli non un vantaggio «di libertà», ma piuttosto un limite.
La vita dei bambini è fatta di piccole e grandi sfide e obiettivi da raggiungere. Per i più piccoli è normale giocare con le posate, manipolare il cibo, ecc: è utile e giusto così e non vanno inibiti, si tratta di una delle tappe fondamentali per la crescita di ogni bambino. È proprio dall’osservazione dei genitori che utilizzano le posate per mangiare, in un processo imitativo che è alla base di moltissimi apprendimenti, che gli «viene voglia» di sperimentare e provare. All’inizio in modo giocoso e poco efficace, via via sempre più mirato. Gradualmente possiamo poi iniziare a proporre le regole di base per il comportamento a tavola, puntando sempre più sull’esempio e il coinvolgimento, che sul rimproverare atteggiamenti scorretti. Il primo obiettivo su cui puntare è il piacere di ritrovarsi a tavola e a parlare mentre si condividono i pasti (… e senza tv o smartphone). Il secondo è di stare seduti e fermi a tavola: per loro non è un atteggiamento naturale, i bambini tendono sempre a stare in movimento. Ma a forza di dirlo e ripeterlo, piano piano accetteranno e … alla fine capiranno il piacere della condivisione di questo momento! Un altro obiettivo è quello di proporre e invogliare ad assaggiare anche cose nuove: questa è una delle abitudini più difficili da far acquisire, perché spesso il cibo non viene vissuto come un piacere, ma come obbligo. Bene quindi abituarli al sapore dei vari alimenti e all’alternanza dei gusti.
Anche la scuola ha un suo ruolo preciso: una sana collaborazione tra scuola e genitori è la chiave per raggiungere questo traguardo. La mensa infatti rappresenta un bel momento di socialità. Inoltre la necessità di gestire in contemporanea un gran numero di alunni porta a dover codificare delle regole (onde evitare di essere sopraffatti!!) che forse vengono accettate più facilmente che non a casa, dove tra genitore e figlio subentrano tante altre dinamiche.