Corriere Fiorentino

BADARA E CHRISTIAN, STORIA DI UNO SCAMBIO CHE FA BEN SPERARE

- Di Tommaso Giani

Oggi eccezional­mente cedo il mio spazio sul Corriere Fiorentino a un bambino di 10 anni del mio doposcuola di Santa Croce sull’Arno. Il suo diario del giorno della fine del Ramadan racconta un’Italia che è molto più avanti di certe polemiche politiche. Non so voi, ma io è proprio di questa Italia che mi sento parte. La parola a Badara. «La mia giornata di fine del Ramadan è cominciata alle 8, quando la mamma è corsa a svegliare me e mio fratello Mbaye. Giù di corsa dal letto a castello per lavarmi e vestirmi con un abito speciale: un vestito lungo di colore blu che indosso solo nei giorni di festa come questo. Mentre mamma è rimasta a casa per cucinare un pranzo spettacola­re, io e Mbaye vestiti di tutto punto siamo usciti di casa non per andare a scuola, ma al palazzetto dello sport. Qui ci siamo uniti a centinaia di persone, tutte vestite come me con l’abito lungo dei musulmani. Alla fine della preghiera c’è stato un bellissimo scambio di auguri anche con persone che non conoscevo: tutti a dire Salam Alicum ,ea rispondere Alicum Salam .Io e Mbaye camminando allegri siamo tornati a casa senza perdere tempo, perché ad aspettarci in piazza Matteotti c’era Christian, un mio compagno di classe. Christian non è musulmano, ma io e i miei genitori abbiamo comunque pensato di invitarlo da noi per vivere insieme questa giornata speciale. Mentre la mamma finiva di preparare il pranzo, io, Christian e Mbaye abbiamo giocato un po’ sfidandoci con i quiz di calcio su youtube, insieme anche a Tommaso, il maestro del nostro doposcuola, che a un certo punto è venuto a salutarci. Intanto l’appetito cresceva sempre di più. Dalla cucina arrivava un profumino irresistib­ile. Poi, finalmente, ecco che babbo è tornato a casa: per festeggiar­e la fine del Ramadan anche le concerie di Santa Croce hanno lavorato di meno, per permettere ai tanti operai musulmani come il mio babbo di poter vivere questa giornata in famiglia. E così, ora che eravamo tutti, ci siamo messi a sedere per terra sul tappeto per iniziare a mangiare. Christian è andato un pochino in difficoltà: per lui questo modo di mangiare senza tavola e senza sedie era molto strano. E anche i piattini prelibati cucinati da mia mamma per lui erano sapori mai provati prima: carne di pecora, cous cous, riso speziato, insalata… Christian aveva tanta, troppa paura. Purtroppo, lui non sa cosa si è perso. Fatto sta che mamma gli ha cucinato una valanga di patatine fritte, e così anche lui ha potuto mangiare insieme a noi. Ma, se nel mangiare Christian non è stato proprio super coraggioso, nel vestirsi bisogna dire che è riuscito a diventare veramente uno di noi. Mamma a un certo punto ha chiesto a Christian se gli fosse piaciuto indossare una tunica azzurrina che teniamo di riserva nell’armadio. E lui, senza farselo ripetere due volte, ha detto: ok! Ma non solo questi vestiti servivano per il pranzo. Li abbiamo indossati anche dopo pranzo, quando abbiamo iniziato il nostro gioco del pomeriggio di questo giorno speciale. Un gioco chiamato Dwinn, e che in pratica funziona così: un gruppo di bambini esce di casa e a tutte le persone che incontra chiede un piccolo regalo, visto che si tratta del giorno di fine del Ramadan. Noi fermavamo solo persone senegalesi, nel corso di Santa Croce, perché solo loro potevano capire il nostro gioco legato alla festa musulmana. Diversi babbi ci hanno regalato alcuni euro, mentre un nostro amico parrucchie­re ha regalato a tutti il taglio dei capelli. Alcune persone mentre ci vedevano passare rimanevano molto stupite nel notare quel bambino bianco con la tunica da musulmano: “Ma lui cosa ci fa?”. Christian ovviamente ha spiegato a chi gli chiedeva informazio­ni che lui non è diventato musulmano, ma che era contento di partecipar­e a questa festa come ospite. Verso le sei di sera la festa è finita e la nonna di Christian è venuta a riprendere il mio compagno di classe. Ci siamo divertiti un sacco, e a Christian nel salutarmi è venuta un’idea: “Badara, a Natale ti aspetto a casa mia. Dobbiamo fare a scambio!”».

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