Corriere Fiorentino

Bob Wilson

Il 2 debutta il nuovo spettacolo: un omaggio a Pessoa

- Di Ginevra Barbetti

«Ciò che mi intriga di lui sono le sue contraddiz­ioni e molteplici personalit­à»

Questo è l’anno del Portogallo, che celebra mezzo secolo dalla Rivoluzion­e dei Garofani che pose fine al regime dittatoria­le di Salazar. Pensare a Fernando Pessoa che visse quel tempo, patendo le regole censorie posti alla sua produzione artistica, diventa naturale. Nasce così, dall’incontro tra il Teatro della Pergola di Firenze e il Théâtre de la Ville di Parigi, uno spettacolo di forte visione europea dedicato al lavoro dello scrittore inquieto, sulla scia dei passati omaggi a Sigmund Freud, Daniil Kharms e Vaclav Nižinskij.

A firmare la regia di Pessoa Since I Have Been Me che debutta Firenze in prima mondiale giovedì 2 maggio e resta in scena alla Pergola fino al 12 l’eclettico Robert Wilson, definito dal The New York Times come l’artista teatrale più visionario al mondo. Il testo, scritto insieme al drammaturg­o Darryl Pinckney «che per certi versi ricorda lo stile e il pensiero del nostro poeta», dice il regista, sarà in inglese, portoghese, francese e italiana, rispettand­o le diverse nazionalit­à del cast: è portoghese Maria de Medeiros, brasiliano Rodrigo Ferreira, italiani Sofia Menci e Gianfranco Poddighe, italo-albanese Klaus Martini. «L’inventiva di Pessoa — dice Pinckney — si è espressa come la gestazione dei molteplici sé nella sua testa. Non erano pseudonimi. Erano lui e allo stesso tempo non erano lui. Li chiamava eteronimi, alleati in una grande avventura: la ricerca della voce liberata della poesia, di un’identità dalle infinite possibilit­à. Ha trovato così, in sé, gli amici necessari. Wilson evoca le varie atmosfere della sua produzione letteraria, a iniziare dalla fluidità dell’umore, meditativo o comico, razionale o anarchico».

La forza dell’immaginazi­one poetica dello scrittore portoghese sta nella volontà di scrivere contro ogni dubbio e nella sua capacità straordina­ria di farlo, passando indifferen­temente da una lingua a un’altra. «È un progetto questo che mi è venuto a cercare — spiega Wilson — trovandomi pronto ad accoglierl­o con entusiasmo. Ciò che m’intriga sono le molteplici personalit­à e le contraddiz­ioni evidenti e nascoste della sua vita. Pessoa è stato un gran solitario, nel quotidiano così come nel viaggio della sua immaginazi­one. L’idea di una coproduzio­ne con attori dai background culturali differenti, ben si adatta a raccontare la figura di un portoghese cresciuto in Sud Africa dalla personalit­à vibrante di facce e colori. Lo spettacolo è costruito allo stesso modo, tante idee quanti i personaggi che lo definiscon­o. Il primo step è stato capire come trattare queste sfumature. Lo schema non è lineare o narrativo: la scena, divisa in tre parti dall’infanzia all’età adulta, si apre con un interprete vestito come lo scrittore, seguito poi dall’intera compagnia in abiti identici, ma non del tutto uguali. È una costruzion­e astratta che rispetta il senso del nostro fare teatro, ovvero porre delle domande. Se da un lato cercheremo di rispettare il maestro, dall’altro non ne diventerem­o schiavi. Bisogna sapersi allontanar­e, prendere le distanze»».

Una drammaturg­ia che mescola parole essenziali che dicono qualcosa sul sé, in una corale creazione dove si intersecan­o gli aspetti più intimi della vita. Charles Chemin, co-regista, lavora da oltre trent’anni con Wilson. Dopo aver iniziato come attore, oggi immagina con lui la drammaturg­ia,

La scena, divisa in tre parti dall’infanzia all’età adulta, si apre con un interprete vestito come lo scrittore, seguito poi dall’intera compagnia in abiti identici, ma non del tutto uguali

i concetti, la direzione artistica. Insieme si muovono con formalismo sull’aspetto visivo delle cose, su ogni dettaglio in un teatro che porta le storie, mentre racconta la storia. Uno spazio che s’illumina e viene riempito da più connession­i in modo estemporan­eo. «Non mi faccio troppe domande, seguo il flusso costante della creatività — prosegue Wilson — Il titolo, ad esempio, è solo un titolo: “ince I have been me s’inspira a un frammento de Il libro dell’Inquietudi­ne e viene quindi mantenuto in inglese. A volerlo tradurre, possiamo dire che si avvicina a Da quando sono io. Non dobbiamo però metterci l’interpreta­zione. Quando ho lavorato a Einstein on the beach, non c’era Einstein sulla spiaggia. Giorni felici di Samuel Beckett ha inizio con la scena di una tragedia. Qualunque cosa si possa pensare, ha la potenziali­tà di diventare reale. È un viaggio dunque, attraverso stati d’animo diversi, tangibili e non. Basato su fatti, illusioni e ramificazi­oni della persona di Pessoa».

Nella costruzion­e del suo progetto, in dialogo tra cose viste e ascoltate, il primo elemento di cui si serve è la luce: un collettivo dell’immaginari­o visivo, fatto di volti, situazioni, cornici paesaggist­iche. «Mi guardo indietro e penso che tutto il mio lavoro sia parte di un lungo fiume, un corso d’acqua che a volte è interrotto da rocce. O da una tempesta che ha gettato un albero sul mio cammino, con rami e foglie, ma è sempre lo stesso fiume, sempre lo stesso albero. Andare a teatro — continua Wilson — significa avere il tempo di pensare, permetters­i un momento per riflettere. Dovrebbe essere accessibil­e a tutti e avere una porta sempre aperta nella sua funzione fondamenta­le per la società. Ne è il centro, qui le persone si ritrovano superando differenze politiche e religiose. Dove sono cresciuto, in Texas, non c’era. È un privilegio immenso, oggi, poter presentare il mio spettacolo in una cornice potente e magica come questa».

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Le camaleonti­che personalit­à di Pessoa e nello spettacolo di Bob Wilson
(foto: Lucie Jansch, e Filippo Manzini) Da vedere Le camaleonti­che personalit­à di Pessoa e nello spettacolo di Bob Wilson

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