Letizia Toni, tale e quale a Gianna Nannini
La cosa più bella di «Sei nell’anima» è la protagonista. Ma certi errori si potevano evitare
Come fan di Gianna Nannini da quando ho 10 anni, ho aspettato con trepidazione il film che racconta i primi trent’anni della sua vita. E ho pianto di commozione. Se un film riesce a commuovere, significa che almeno in parte è riuscito.
La cosa più bella di Sei nell’anima, regia di Cinzia TH Torrini, in onda su Netflix è l’interpretazione di Letizia Toni, che sembra davvero Gianna Nannini, sin dall’inizio, quando le viene chiesto dove immagina di essere nel futuro e lei risponde: «Su un palco a cantare». Il timbro della voce, lievemente graffiato, il movimento degli occhi e della bocca, lo sguardo penetrante, tutto è fedele all’originale. E poi le movenze del corpo, i pugni sul petto, la risata. È film emozionante — ma forse troppo didascalico, troppo frammentato, senza un messaggio univoco — e buona parte del merito è proprio di Letizia Toni. Ha trascorso mesi a studiare la rocker senese, seguendola nelle movenze, nei gesti, nella voce, nel canto. E alla fine le assomiglia moltissimo. Come del resto gli altri personaggi, la madre Giovanna Cellesi (Teresa Tanini), il padre Danilo Nannini (Maurizio Lombardi), la compagna Carla (Selene Caramuzza).
Questi sono i protagonisti su cui ruota tutto il film. Sono la famiglia a cui Gianna, quella vera, deve la sua salvezza. Perché è vero che a 18 anni scappa da Siena, ma saranno il ritorno e le cure nella stessa Siena, e soprattutto l’amore dei familiari, a salvarla dal delirio di allucinazioni nel quale era sprofondata dopo i primi album che l’avevano catapultata in un successo che la stava stritolando. È il padre Danilo che, dopo averla quasi disconosciuta, andrà a riprenderla in Germania per riportarla a casa. Un ritoraccompagnato no, era il 1983, che segna la rinascita dell’artista, e la riconciliazione con quel mondo dal quale era fuggita, spinta dallo spirito ribelle e sacrosanto della non omologazione. È stata quella brama di vivere e di cantare, contro il perbenismo borghese, che l’ha fatta emigrare a Milano. Quando ha lasciato Siena ha salutato il padre dicendogli: «Faccio quel che mi pare». Lei, sognava una vita in cui riconoscersi. E fugge con rabbia ma senza rancore infinito, perché poi il tempo addolcisce i sentimenti. E i ricordi tornano a mitigare i conflitti: così alla fine Gianna e Danilo si ritrovano, in un controcanto di collere reciproche, ma teneramente uniti fino alla struggente scena finale dove, alla fine dei giorni, il tempo scioglie gli egoismi e tutto appare sotto una luce nuova. Padre da una parte, figlia dall’altra. Padre padrone, figlia ribelle. È il destino che ha sempre Gianna Nannini: ogni volta che canta sembra ancora prendersi una rivincita verso quel padre che non la voleva cantante e si commuove e piange, a volte pensando al padre che non c’è più, salutato al funerale con la canzone Tornerai, il cui testo dice così: «Prima o poi, ovunque tu sei, ritornerai dal luogo illune del tuo silenzio. Prima o poi, in un cielo deserto, splenderai, stella resisti al vento. Tutti noi siamo fragili, è per questo che ci amiamo». Alla fine l’amore vince sull’odio, gli scontri vengono ottenebrati dal perdono delle nostre vulnerabilità. Certo, ci sono imperfezioni talvolta grossolane: ad esempio le falangi amputate nella macchina dei ricciarelli, che in alcune scene ricompaiono miracolosamente. E poi Notti magiche tra i titoli delle altre canzoni, peccato che quella canzone si chiami Un’estate italiana. E ancora, alcuni attori parlano troppo fiorentino e troppo poco senese. Dettagli, forse, ricompensati dalla sorpresa finale, dove finalmente arriva Gianna, quella vera!