Tutti gli incantatori di Ellroy
Marilyn, JFK, la droga, il sesso, il crimine e soprattutto l’investigatore Freddy Otash dentro il lato oscuro delle esistenze: domani lo scrittore statunitense parla del suo libro da Giunti Odeon
Si può entrare in una casa per rubare. Per spiare. Per spaventare. Per piazzare microfoni nascosti. Per scoprire segreti. Per raccogliere materiale da ricatto. Si può calcolare il momento opportuno, o infilarsi dentro a caso. Si possono sfasciare mobili, vandalizzare stanze, rovesciare cassetti. O si può lasciare tutto ordinato come era. Nel fare ognuna di queste cose, si può provare piacere. Eccitazione. Brivido voyeuristico. In inglese è break-in, o house breaking. Violazioni di domicilio. In termini tecnici, effrazione. Il nuovo romanzo di James Ellroy è costruito su una sequenza di effrazioni serrata, moltiplicata, alimentata a dismisura. Non che il dominus mondiale della narrativa noir non ne avesse già messe in scena a decine, nel suo ricchissimo universo letterario. Ma in Gli incantatori l’effrazione diventa bulimia, continuum, serialità ossessiva. Costellazione di effrazioni. Con un centro di gravità: un indirizzo a Los Angeles, quartiere Brentwood, Fifth Helena Drive, casa di Marilyn Monroe. Entrerete anche lì. Mentre l’attrice è in giro a comprar pasticche. E soprattutto: quando l’attrice riposa cadavere nel suo letto, la notte tra 4 e 5 agosto 1962.
Chi s’azzarderebbe a scrivere un romanzo d’oltre 600 pagine con la trama che ruota intorno all’attrice sulla quale sono state scritte oltre 700 biografie? Il più coraggioso, il
più sfrontato, il più dotato, l’unico che può rapire mente e occhi dei suoi lettori e portarli dentro una macchina da presa che vedrà Marilyn muoversi tra produttori, farmacisti, attricette, ladri, star del cinema, presidente degli Stati Uniti, familiari del presidente degli Stati Uniti, spacciatori, scassinatori, papponi, vecchi compagni di orfanotrofio, poliziotti buoni e corrotti, maniaci, ricattatori, ammiratori, psichiatri. Ma attenzione: non è un libro su Marilyn. È invece
il romanzo dello scrittore che ormai ha portato definitivamente a compimento la fusione/contaminazione dei generi noir, poliziesco, hard-boiled, storico. Stavolta, come da titolo, scava ossessivamente intorno a un concetto: l’incanto.
A partire da un dato: incanto si dice in molti modi. Concetto che pulsa ed esplode in molteplici livelli di significato e di immaginario. Il cinema è incanto («Marilyn era una tigre, un serpente arrotolato, un’incantatrice»), la politica è incanto (Jimmy Hoffa, potentissimo capo mafioso del sindacato, a un certo punto dice che JFK tiene «tutto il Paese sotto un incantesimo del cazzo»), la chimica della droga è un incanto pervasivo che schiaccia l’intera città (i personaggi, come da vero storione di Ellroy, sono tantissimi: e praticamente tutti non fanno che ingollare pillole), il sesso è un incanto (compresa una serata di scambisti che è «un incanto da poco»), il crimine è un incanto (Marilyn ha un’espressione «incantata» quando concepisce l’idea di un ricatto con mazzi di carte con foto porno).
Tutti i personaggi in qualche modo restano incantati e incantano. Una ricca studentessa e giovane fan di Marilyn, incantata dal fascino della star, la incanterà a sua volta, e diventerà sua amica/confidente. L’anno è il 1962. Non tutto, pochi mesi. Prima e dopo la morte. Non immaginate congetture. Non v’aspettate nuove teorie. Neppure una parola sulle infinite speculazioni suicidio, omicidio, suicidio simulato, suicidio indotto, suicidio per errore. Gli incantatori è invece una meticolosa opera di dragaggio intorno a chiunque (che siano personaggi storici o di fiction) si sia mosso intorno a quel cadavere, prima e dopo. Il lettore attraversa questa commedia tenuto per mano da un Virgilio corrotto, a volte infame, ex poliziotto e ex marine, e infine investigatore privato, il miglior scopritore e spalatore di fango della città degli angeli. Freddy Otash, realmente esistito, in cammino di letteraria redenzione. Protagonista assai più di Marilyn (e anche voce narrante). Gran maestro delle effrazioni. Gran consumatore di pasticche. Burattinaio al servizio di molteplici (e più potenti) burattinai: per scoprire fango, maldicenze, segreti, doppie vite e doppie, triple, quadruple verità. Freddy O. entra nella dark side delle case, delle esistenze. Ma sembra che Ellroy gli abbia affidato un compito artistico più alto: indagare e portare alla luce la storia della maldicenza, della bassezza umana, del segreto, del desiderio incontenibile e inconfessabile, della devianza psichica. Ombre negli uomini che hanno fatto la Storia, ma che la disciplina storica classica (politica, diplomatica, economica, sociale) non riesce a intercettare. Sembra che Ellroy abbia eletto la letteratura (la sua letteratura) a unico canale di possibile attingimento e disvelamento di questa storia del marciume interiore dell’uomo, quello che «la storia degli storici» non ha alcuna possibilità di agganciare, comprendere, raccontare. Se è così, allora lo sporco Freddy O. è davvero il suo eroe.
Non vi aspettate nuove teorie sulla morte della Monroe: il romanzo è una meticolosa opera di dragaggio intorno a chiunque si sia mosso intorno a quel cadavere