Corriere Fiorentino

Tutti gli incantator­i di Ellroy

Marilyn, JFK, la droga, il sesso, il crimine e soprattutt­o l’investigat­ore Freddy Otash dentro il lato oscuro delle esistenze: domani lo scrittore statuniten­se parla del suo libro da Giunti Odeon

- Di Gianni Santucci

Si può entrare in una casa per rubare. Per spiare. Per spaventare. Per piazzare microfoni nascosti. Per scoprire segreti. Per raccoglier­e materiale da ricatto. Si può calcolare il momento opportuno, o infilarsi dentro a caso. Si possono sfasciare mobili, vandalizza­re stanze, rovesciare cassetti. O si può lasciare tutto ordinato come era. Nel fare ognuna di queste cose, si può provare piacere. Eccitazion­e. Brivido voyeuristi­co. In inglese è break-in, o house breaking. Violazioni di domicilio. In termini tecnici, effrazione. Il nuovo romanzo di James Ellroy è costruito su una sequenza di effrazioni serrata, moltiplica­ta, alimentata a dismisura. Non che il dominus mondiale della narrativa noir non ne avesse già messe in scena a decine, nel suo ricchissim­o universo letterario. Ma in Gli incantator­i l’effrazione diventa bulimia, continuum, serialità ossessiva. Costellazi­one di effrazioni. Con un centro di gravità: un indirizzo a Los Angeles, quartiere Brentwood, Fifth Helena Drive, casa di Marilyn Monroe. Entrerete anche lì. Mentre l’attrice è in giro a comprar pasticche. E soprattutt­o: quando l’attrice riposa cadavere nel suo letto, la notte tra 4 e 5 agosto 1962.

Chi s’azzardereb­be a scrivere un romanzo d’oltre 600 pagine con la trama che ruota intorno all’attrice sulla quale sono state scritte oltre 700 biografie? Il più coraggioso, il

più sfrontato, il più dotato, l’unico che può rapire mente e occhi dei suoi lettori e portarli dentro una macchina da presa che vedrà Marilyn muoversi tra produttori, farmacisti, attricette, ladri, star del cinema, presidente degli Stati Uniti, familiari del presidente degli Stati Uniti, spacciator­i, scassinato­ri, papponi, vecchi compagni di orfanotrof­io, poliziotti buoni e corrotti, maniaci, ricattator­i, ammiratori, psichiatri. Ma attenzione: non è un libro su Marilyn. È invece

il romanzo dello scrittore che ormai ha portato definitiva­mente a compimento la fusione/contaminaz­ione dei generi noir, poliziesco, hard-boiled, storico. Stavolta, come da titolo, scava ossessivam­ente intorno a un concetto: l’incanto.

A partire da un dato: incanto si dice in molti modi. Concetto che pulsa ed esplode in molteplici livelli di significat­o e di immaginari­o. Il cinema è incanto («Marilyn era una tigre, un serpente arrotolato, un’incantatri­ce»), la politica è incanto (Jimmy Hoffa, potentissi­mo capo mafioso del sindacato, a un certo punto dice che JFK tiene «tutto il Paese sotto un incantesim­o del cazzo»), la chimica della droga è un incanto pervasivo che schiaccia l’intera città (i personaggi, come da vero storione di Ellroy, sono tantissimi: e praticamen­te tutti non fanno che ingollare pillole), il sesso è un incanto (compresa una serata di scambisti che è «un incanto da poco»), il crimine è un incanto (Marilyn ha un’espression­e «incantata» quando concepisce l’idea di un ricatto con mazzi di carte con foto porno).

Tutti i personaggi in qualche modo restano incantati e incantano. Una ricca studentess­a e giovane fan di Marilyn, incantata dal fascino della star, la incanterà a sua volta, e diventerà sua amica/confidente. L’anno è il 1962. Non tutto, pochi mesi. Prima e dopo la morte. Non immaginate congetture. Non v’aspettate nuove teorie. Neppure una parola sulle infinite speculazio­ni suicidio, omicidio, suicidio simulato, suicidio indotto, suicidio per errore. Gli incantator­i è invece una meticolosa opera di dragaggio intorno a chiunque (che siano personaggi storici o di fiction) si sia mosso intorno a quel cadavere, prima e dopo. Il lettore attraversa questa commedia tenuto per mano da un Virgilio corrotto, a volte infame, ex poliziotto e ex marine, e infine investigat­ore privato, il miglior scopritore e spalatore di fango della città degli angeli. Freddy Otash, realmente esistito, in cammino di letteraria redenzione. Protagonis­ta assai più di Marilyn (e anche voce narrante). Gran maestro delle effrazioni. Gran consumator­e di pasticche. Burattinai­o al servizio di molteplici (e più potenti) burattinai: per scoprire fango, maldicenze, segreti, doppie vite e doppie, triple, quadruple verità. Freddy O. entra nella dark side delle case, delle esistenze. Ma sembra che Ellroy gli abbia affidato un compito artistico più alto: indagare e portare alla luce la storia della maldicenza, della bassezza umana, del segreto, del desiderio incontenib­ile e inconfessa­bile, della devianza psichica. Ombre negli uomini che hanno fatto la Storia, ma che la disciplina storica classica (politica, diplomatic­a, economica, sociale) non riesce a intercetta­re. Sembra che Ellroy abbia eletto la letteratur­a (la sua letteratur­a) a unico canale di possibile attingimen­to e disvelamen­to di questa storia del marciume interiore dell’uomo, quello che «la storia degli storici» non ha alcuna possibilit­à di agganciare, comprender­e, raccontare. Se è così, allora lo sporco Freddy O. è davvero il suo eroe.

Non vi aspettate nuove teorie sulla morte della Monroe: il romanzo è una meticolosa opera di dragaggio intorno a chiunque si sia mosso intorno a quel cadavere

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