«Io, uzbeko, al mio primo sciopero»
Abdurasul, 24 anni, studente uzbeko: «È la mia prima volta»
Lo sciopero dei rider di Glovo ha visto protagonisti per la prima volta gli app fattorini di origine straniera. Pakistani, africani, bengalesi, uzbeki. Negli ultimi mesi hanno sostituito quelli italiani.
«Nei giorni in cui ci sono tante ordinazioni, va tutto bene. Facciamo anche tre consegne all’ora e guadagniamo abbastanza per pagare l’affitto e spedire qualcosa a casa». Quando, però, come nelle ultime settimane di feste, le richieste diminuiscono e Glovo non riduce il numero di rider nelle strade, perché pagandoli a cottimo non sacrifica neanche un centesimo del proprio guadagno, l’impegno di ciascuno cala drasticamente. Come lo stipendio alla fine del mese.
«L’altro giorno ho fatto tre consegne in sette ore», spiega Jalla, nigeriano, con lo zaino giallo sulle spalle. In un giorno ha guadagnato dieci euro. Troppo poco anche per gli app fattorini di origine straniera, che negli ultimi mesi hanno sostituito quelli italiani nelle strade torinesi. Il «lavoretto» del take away digitale non è più appannaggio degli universitari hipster, ma è diventato la scialuppa di salvataggio degli ultimi arrivati. Per Glovo pedalano in maggioranza pakistani e bengalesi. Il concorrente Uber Eat, invece, ha ingaggiato gli africani. Tutti disposti a pedalare per chilometri, sotto la pioggia o la neve, pur di guadagnare qualcosa. «Ma questo sabato abbiamo deciso di scioperare anche noi», aggiunge Jalla. Una novità: in tre anni di contestazioni e manifestazioni, ieri a Torino per la prima volta la protesta è stata portata avanti da tanti stranieri.
Per lanciare la mobilitazione, i «glovers in lotta» si sono dati appuntamento davanti al Mc Donald’s aperto da pochi mesi in piazza Santa Rita. Alle 18 erano una cinquantina i contestatori di Glovo, l’azienda spagnola che ha sostituito Foodora, che ieri non ha interrotto il servizio. «Siamo pagati a consegna, a cottimo, e non abbiamo alcuna sicurezza — spiegano gli app fattorini —. Guadagniamo 2 euro a ordinazione, cui si aggiunge un rimborso chilometri di 50 centesimi tassati al 20%. Così è difficile arrivare alla fine del mese. Le mance dei vip e la black listi dei famosi? Non ci interessano. È l’azienda che deve fare la sua parte».
Farid, 32 anni, è con Glovo da sei mesi. «Ho iniziato in bicicletta, poi ho scelto lo scooter — spiega —. In passato ho fatto anche 20 consegne in tre ore, altri giorni capita di lavorare anche sette ore senza farne neanche una». Quando succede non gli resta che scrivere una mail all’azienda, che a Torino non ha una sede ma un ufficio in via Vandalino. «Non ti rispondono neppure, quando lo fanno danno la colpa all’app che non funziona», racconta il pakistano. «Tanti del mio Paese fanno le consegne perché non hanno trovato lavori migliori. E per farle non c’è bisogno di parlare l’italiano. Al mese guadagno mille euro, lavoro ogni giorno 7-8 ore sia a pranzo che a cena».
Lo sciopero di ieri ha visto la partecipazione di tanti stranieri. I cartelli di protesta, alcuni scritti contro il vicepremier Luigi Di Maio che non ha rispettato la promessa di fare una legge «per i rider», sono stati scritti in inglese. Una scelta obbligata per rappresentare tutte le anime della contestazione. «È la prima volta che sciopero in vita mia», racconta Abdurasul, 24 anni, studente del Politecnico. Viene dall’uzbekistan. Sono una trentina i connazionali che lavorano per Glovo. «Lavorando tre ore al giorno, guadagno 400 euro al mese», racconta in inglese. In mano ha il volantino con le richieste degli scioperanti. «Vogliamo un minimo garantito come Deliveroo e Just Eat (altre aziende del settore, ndr), il tempo di attesa deve essere pagato 10 centesimi dopo 20 minuti, il rimborso chilometrico deve essere alzato a 70 centesimi come a Milano e vogliamo un’assicurazione che copra gli infortuni».
Richieste simili a quelle già sentite nelle proteste che, negli ultimi anni, hanno bloccato il servizio di Foodora o di Deliveroo. Alle quali, però, si è aggiunta questa volta una rivendicazione nuova: «Glovo deve abbandonare il contratto di collaborazione occasionale, anche perché non permette ai colleghi stranieri di rinnovare il permesso di soggiorno». Per ottenerlo, l’unica possibilità è aprire una partita Iva autorizzata da Glovo quando un rider raggiunge la soglia dei 5 mila euro di stipendio mensile. Ma per farlo bisogna assicurare turni lunghissimi e sperare che l’algoritmo affidi un gran numero di consegne. «È cambiata la strategia delle multinazionali — spiegano i fattorini —. Assumono sempre più stranieri, perché sono ricattabili e non scioperano mai». Fino a ieri, per lo meno.