«Mi sento vedovo di Visconti»
Parla l’attore Helmut Berger, arrivato in città per il festival Lovers: «Mangano era straordinaria, Antonioni non lo capivo». Poi il lapsus: «Cinecittà non c’è più, vero?»
Un viso che è un’opera di perfezione, che abbinato alle indiscusse doti di recitazione ha consentito a Helmut Berger di affermarsi tra i più apprezzati e conosciuti attori del cinema mondiale. Austriaco, classe 1944, a vent’anni ha conosciuto Luchino Visconti. «E la vita è cambiata», racconta, prima di andare al Cinema Massimo, ospite del 34simo Lovers Film Festival. L’incontro con il regista italiano, ricorda, gli ha spalancato le porte della Roma degli anni d’oro di Cinecittà, dell’ambiente culturale dove conobbe Vittorio De Sica, con cui recitò in «Il giardino dei Finzi-contini» vincendo l’oscar per il miglior film straniero nel 1972. Un periodo concluso, che ha lasciato un segno talmente profondo da lasciar dire a Berger, in un lapsus, che «Cinecittà oggi non c’è più». Non c’è più Visconti, scomparso nel 1976 lasciando l’attore «vedovo a 32
anni», come si è definito. La loro relazione, per Helmut Berger, ha rappresentato una svolta non solo professionale, ma anche umana.
Berger, si sente un’icona? «Me lo sento dire per la prima volta e vi ringrazio, ma non mi sono mai sentito così, sono un mortale come gli altri. Ho fatto la mia carriera senza sponsor, senza fare il divo, come quelli che arrivano in ritardo o non si preparano. Io, ad esempio, quando ho interpretato Ludwig di Baviera ho letto tanto, ho studiato anche la figura di Elisabetta d’austria. Sono preparazioni da fare dietro le scene, poi viene la sceneggiatura, quindi lo fai per te e per il tuo corpo. Nella vita ci vuole un grande regista che ti lanci, poi dipende da te».
Per lei fu Visconti?
«Certo, tutto mi riconduce a lui. Visconti ha visto qualcosa in me, mi poteva modellare come una scultura, la base ce l’avevo, poi mi formava come voleva, è stato una sorta di scultore. E tanti attori, per questo, volevano lavorare con lui, ma era impossibile accontentarli tutti. Ricordo però Silvana Mangano, una grande dama del cinema, lei era straordinaria, in Ludwig ma anche in Morte a Venezia. Ecco, lei era sposata con Dino de Laurentiis, ma era sempre presente sul set dal primo minuto».
Quello è stato un periodo che l’ha segnata.
«Infatti, c’era tutto il gruppo di Visconti, poi Francesco Rosi, Vittorio De Sica, erano tutti diversi ma tutti insieme. Anche Fellini, Antonioni, poi Pasolini, Elsa Morante, Susan Sontag. Lì c’erano la letteratura e il grande cinema. Io li frequentavo, ad esempio guardavo i film di Antonioni e non li capivo, ma li guardavo lo stesso. Oggi quell’ambiente non c’è più, ma è cambiato il cinema».
Che rapporto ha oggi con il tempo?
«Passa veloce, molto veloce, devi prenderlo subito se vivi intensamente come me. Ora approfitto di questo momento più tranquillo, ma c’è stato un periodo in cui non sapevo dove andare. Però serve una guida per te stesso, per me lo è stato Visconti. È vero che sono stato molto libero e lo sono ancora, ma non ho mai pagato le conseguenze per la mia libertà. La bellezza aiuta, è vero, ma devi avere anche un po’ di cervello».
C’è qualcosa che le manca non aver fatto?
«Una cosa molto buffa, non ho mai fatto un film in Germania o comunque nella mia lingua, il tedesco. Poi nei film in cui sono stato doppiato da Giancarlo Giannini (come Ludwig, ndr) penso che lui abbia migliorato i miei personaggi, perché viene dal teatro ed è un grandissimo attore. Li riguarderò con attenzione».
A proposito di teatro, l’ha provato anche lei.
«Sì, a Berlino lo scorso anno, con Liberté di Albert Serra. Non lo avevo mai fatto, avevo paura, ma gli orari sono divini, dalle 7 alle 10 di sera e poi basta, dopo un mese di preparazione e prove. Mi sono trovato molto bene, non ho sentito la pressione del pubblico, dal palco non si vede. Mi piacerebbe fare teatro in Italia».