Regione, una poltrona per quattro
Via libera a Cirio, Chiamparino, Bertola e Boero. Casapound resta fuori: faremo ricorso
Saranno in quattro, il prossimo 26 maggio, a contendersi la poltrona più alta del Piemonte. Il presidente uscente Sergio Chiamparino, 70 anni, candidato del centrosinistra, dovrà vedersela con lo sfidante schierato dalla coalizione di centrodestra, Alberto Cirio: 46 anni, di Alba. Il loro non resterà, però, un duello: a intromettersi tra i due rivali ci saranno anche l’aspirante governatore del Movimento 5 Stelle, Giorgio Bertola, 49 anni, e il rappresentante de «Il popolo della famiglia», Valter Boero, 64 anni, docente universitario di Agraria.
Corsa a quattro
Al termine delle operazioni, durate due giorni, per il deposito e la presentazione delle liste, l’ufficio elettorale centrale della Corte d’appello ha ammesso ieri mattina, a mezzogiorno, quattro candidati alla presidenza della Regione e i loro relativi listini. Non è stata accettata, invece, la candidatura di «Destre unite-azzurri italiani-casapound». La formazione di destra avrebbe voluto schierare Massimiliano Panero, ma non ha presentato le firme richieste.
Quattordici formazioni
A sostenere la quaterna, ci saranno in totale quattordici liste: sette per Chiamparino (Pd, Moderati, Chiamparino per il Piemonte del Sì, Liberi uguali e verdi, +Europa, Italia in Comune e Demos); cinque per Cirio (Lega, Forza Italia, Fratelli d’italia, Udc e «Sì Tavsì Lavoro per il Piemonte nel cuore», cioè la lista di Gian Luca Vignale e Mino Giachino); una per Bertola: quella del M5S. E infine una per Boero: «Il Popolo della famiglia» di Mario Adinolfi, unica formazione ad aver raccolto le firme, che si presenta a Torino, Cuneo, Alessandria e Novara. In tutto il Piemonte saranno circa 500 i candidati in Consiglio regionale.
Gli esclusi
«Faremo ricorso» è la minaccia levata dagli unici esclusi dalla corsa, «Destre unite-casapound», quando hanno saputo di non essere della partita. L’ufficio elettorale, presieduto dalla giudice Clotilde Ferrio, ha deciso infatti di non ammettere la formazione di destra perché avrebbe dovuto (ma non l’ha fatto) presentare le 10 mila sottoscrizioni di rito. Un requisito che, secondo l’aspirante candidato Panero, non era richiesto nel loro caso: «Abbiamo fior di sentenze della Cassazione che ci danno ragione, la nostra lista è esonerata dalla raccolta delle firme perché nel 2014 aveva sostenuto Gilberto Pichetto (candidato del centrodestra,
ndr), che è risultato eletto grazie alla somma dei voti di tutte le liste». I giudici della Corte d’appello deputati al controllo delle procedure elettorali non l’hanno pensata, tuttavia, allo stesso modo.
Quattordici liste
In campo per supportare la corsa a Palazzo Lascaris degli aspiranti presidenti
L’ombra del ricorso
E così, Panero, candidato di Destre unite e del movimento di Giangi Marra, «Azzurri italiani», che a questo giro avrebbe voluto portarsi appresso anche Casapound, annuncia di volersi rivolgere alla giustizia amministrativa: «L’interpretazione data dai giudici è di parte — lamenta —. Ora faremo ricorso al Tar».