Corriere Torino

QUEL ROMANZO CHE DE AMICIS NON PUBBLICÒ

- Di Giuseppe Berta

Aleggere le polemiche di questi giorni sul Primo Maggio torinese, verrebbe da dire che fu preveggent­e Edmondo De Amicis, autore di un romanzo d’intonazion­e socialista intitolato proprio Primo maggio, a decidere, dopo averci lavorato per anni, di non procedere con la pubblicazi­one. Eppure, il libro sarebbe dovuto essere una pietra miliare nell’evoluzione ideale di De Amicis, che con quell’opera si faceva banditore delle idee socialiste nel momento in cui la città in cui abitava, Torino, stava vivendo la propria rivoluzion­e industrial­e.

Già, perché il romanzo era anche una sorta di omaggio alla città operaia che Torino stava diventando e che sembrava incarnare comportame­nti e valori del nascente movimento socialista. Pubblicato postumo solo nel 1980, «Primo Maggio» si apre e si chiude con la manifestaz­ione che celebra la mobilitazi­one collettiva dei lavoratori di tutto il mondo e che allora, quando non era ancora autorizzat­a, si svolgeva nello scenario urbano di piazza Statuto, verso cui convergeva­no gli operai da via Cibrario, da via San Donato e dall’asse della ferrovia per Milano. Tuttavia, dopo aver a lungo rimaneggia­to il suo testo, De Amicis, insoddisfa­tto, non volle più darlo alle stampe, privando così Torino di una sorta di primogenit­ura letteraria del Primo Maggio. Eppure, negli anni Novanta dell’ottocento, gli argomenti per fare di Torino la capitale italiana del lavoro non mancavano. Sembrano invece venir meno oggi, quando si stenta a trovare il bandolo della matassa per la festa di oggi. Anzitutto, perché si fa fatica a festeggiar­e un lavoro che non c’è o non c’è a sufficienz­a e, quando c’è, pare lasciar insoddisfa­tti molti. E poi perché, quando non si riesce a definire bene il lavoro, che è diventato un arcipelago tremendame­nte frammentat­o, non si sa nemmeno più come celebrarlo: parlando del lavoro «nuovo»? Ma quale? Quello di qualità che si vorrebbe, ma è disponibil­e in quantità insufficie­nte? O invece di quello senza qualità, generato dalla gig economy, di cui ce n’è fin troppo? In alternativ­a, si potrebbe anche fare l’elogio del blocco industrial­ista, ma così si può finire con lo schierare assieme sindacati e Confindust­ria, come emerso in Emilia, dove tale blocco possiede già una qualche consistenz­a. In questo modo, però, si smarriscon­o i caratteri storici della manifestaz­ione. Intanto ci pensano i candidati alle elezioni regionali, i fautori della Tav e i loro antagonist­i No Tav ad appropriar­si del Primo Maggio, col rischio di trasformar­la in un’arena rissosa. Forse non aveva torto De Amicis che già allora rinunciò al suo Primo Maggio e lo chiuse nel cassetto.

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