Un amore di balletto
La compagnia di Perm porta al Regio il suo «Romeo e Giulietta» che rilegge il capolavoro di Prokof’ev e la lezione di Macmillan
Lui bellissimo come l’erede dei Montecchi e con la sua stessa irruenza giovanile, lei nobile e appassionata come la piccola Capuleti, la coppia star Rudol’f Nureev e Margot Fonteyn raccolse non meno di quaranta minuti di applausi e acclamazioni alla prima del balletto di Kenneth Macmillan al Covent Garden. Era il 1965 e il coreografo scozzese stava rivelando tutto il suo genio nello scandagliare le sofferenze dell’umanità, narrandole con toni ben lontani dall’imperante compostezza «very british». Una versione coreografica intima della tragedia shakespeariana — cui una giovanissima Alessandra Ferri, Giulietta commovente di slancio adolescenziale, darà nuova linfa negli anni
80 — che è oggi in repertorio da Londra alla Scala e sorprendentemente anche nella Russia profonda degli Urali. La pregevolissima compagnia del Teatro d’opera e Balletto di Perm, che sarà nel cartellone del Teatro Regio da venerdì
all’8 maggio, porta infatti proprio il «Romeo e Giulietta» del coreografo scozzese, in un allestimento di sapore e sapienza italiani a firma di Mauro Carosi e Odette Nicoletti. In più, approvato e «certificato» dalla Kenneth Macmillan Foundation, secondo indicazioni stilistiche e tecniche di Kenneth Macmillan, Gary Harris e Karl Burnett Ballet.
Conoscendo meglio questa compagnia diretta da Aleksej Mirošnicenko — che ha esperienza tanto dell’algido Mariinskij che del New York City Ballet — la scelta stupirà meno, data l’ampiezza e la libertà del repertorio proposto, che sono anche superiori a quelle dei «templi» di Mosca e San Pietroburgo.
Certo non noto a tutti quanto il Mariinskij o il Bol’šoj, il Teatro d’opera e Balletto di Perm costituisce tuttavia una realtà di grande caratura da scoprire, un unicum affasci
nante nell’universo del balletto russo. Con circa un milione di abitanti, la capitale degli Urali alle porte della Siberia è da tanti anni e per molte contingenze una città principale per la danza. E forse l’essere stata la città di Sergej Djagilev, cioè del futuro padre dei prodigiosi «Ballets Russes», ne ha indicato un destino.
A Perm durante la guerra vennero trasferiti i ballerini del Kirov («ex» e poi «di nuovo» Teatro Mariinskij di Leningrado — San Pietroburgo), con la conseguenza di rinvigorire il territorio e disseminarlo di maestri dalla tecnica adamantina che dopo il ‘45 fondarono un’accademia ancora adesso di primissimo piano. Oggi, oltre al museo Djagilev, la città ospita annualmente un festival e un concorso internazionali di danza che sono un riferimento per la cultura russa e inoltre il Teatro d’opera, diretto dal noto maestro Teodor Currentzis, e il Balletto dell’opera, di oltre cento elementi guidati da Mirošnicenko ( artista che sa di Russia e di Occidente) sono ai massimi livelli. Vi si propongono i capisaldi ottocenteschi con quelli sovietici, con lo Šostakovic ritrovato di «Giustiziato con condizionale»; vi si mette in valore il Novecento coreografico di Michail Fokin e George Balanchine con quello «post classico» di Jiri Kylián e William Forsythe. Né sono trascurate le nuove collaborazioni internazionali — fra gli italiani con Luca Veggetti — che sono in repertorio insieme con le rivisitazioni del direttore Mirošnicenko, come la sua notevole versione di «Cenerentola» ambientata negli anni 50 funestati dal Kgb.
In una compagnia di balletto apprezzata e frequentata da superstar — prime fra tutte le splendide Natalija Osipova o Diana Višneva —, che esprime questa ampiezza di vedute, dove sono accolti ballerini stranieri come alcuni brasiliani che vedremo a Torino, non stupisce la scelta di un «Romeo e Giulietta» ben diverso nello stile da quello nato nel 1940 da Sergej Prokof ’ev e dal coreografo di regime Leonid Lavrovskij per Galina Ulanova e Konstantin Sergeev.
Esiste comunque un denominatore comune che attraversa quella prima versione sovietica e quella di Macmillan ed è una visione e impaginazione «cinematografiche» della tragedia veronese, così come sono dettate dalla scansione musicale di Prokof’ev che, non a caso, negli stessi anni componeva l’«aleksandr Nevskij» per il grande Sergej Ejzenštejn.