Corriere Torino

I malati di solitudine, ogni giorno 70 chiamate

A Torino le raccoglie Telefono amico, a cui si rivolgono persone tra i 35 e i 55 anni per litigi o cattivi pensieri

- Lorenza Castagneri

Al Telefono Amico di Torino le chiamate arrivano 365 giorni all’anno, 24 ore su 24. Perché trovare qualcuno pronto ad ascoltare le nostre amarezze quotidiane, senza giudizi, sembra essere diventata un’esigenza sempre più diffusa. Un dolore dell’anima che i volontari del Telefono amico (02-99.777) tentano di lenire almeno un po’. Telefonano in maggioranz­a giovani.

C’è una casa a pochi passi dal Po dove la linea telefonica è perennemen­te occupata e solo uno su quattro riesce a parlare con chi, là dentro, sta seduto davanti al ricevitore. Le chiamate arrivano 365 giorni all’anno, 24 ore su 24. Perché trovare qualcuno pronto ad ascoltare le nostre amarezze quotidiane, senza giudizi, sembra essere diventata un’esigenza sempre più diffusa. Un dolore dell’anima che i volontari del Telefono amico (02-99.777) tentano di lenire almeno un po’.

Sono loro le persone con le cuffie sempre nelle orecchie in quella casa vicino al Po, un luogo di cui, per ragioni di riservatez­za, preferisco­no non rivelare l’indirizzo preciso. Il centralino ha sede lì. E i numeri del servizio vanno ben al di là di ciò che si potrebbe immaginare: il Telefono amico di Torino risponde a circa 25 mila chiamate all’anno, una media di 70 al giorno.

Ma quelle che arrivano e

che non si riescono a prendere per carenza di volontari sono molte di più. «Il nostro servizio fa parte della più ampia rete del Telefono amico Cevita che coinvolge 12 centri italiani. Tra 2011 e 2015 siamo passati dalle 300 mila alle 400 mila chiamate all’anno e in media rispondiam­o a 90 mila di queste, il 22,5 per cento — confida il responsabi­le Claudio Eba — un dato che ci dice che le persone hanno sempre più bisogno di trovare qualcuno con cui sfogare la propria solitudine».

Già la solitudine. Rappresent­a il motivo numero uno per cui ci si rivolge al Telefono Amico. È soprattutt­o chi ha tra i 35 e i 55 anni a chiamare questa linea di ascolto. Lo stimolo è spesso banale: un litigio

con il compagno, un problema sul lavoro, difficoltà a relazionar­si con i figli. Tutti problemi oggettivi che però nascondono quella terribile sensazione di isolamento dal resto del mondo.

«Le persone ci contattano perché al Telefono amico si può parlare in libertà, senza vergogna e senza la paura di essere giudicati, un freno che purtroppo scatta quando ci si confida con qualcuno che ci conosce. Durante la chiamata il nostro volontario diventa amico di chi c’è dall’altra parte della linea. I due interlocut­ori stanno alla pari, uno parla e l’altro ascolta con un’empatia molto forte. Ma la loro amicizia dura soltanto per quel momento. Perché i contatti avvengono nella riservatez­za. Noi volontari non sappiamo chi chiama e chi chiama non deve sapere chi risponde», spiega ancora Eba.

È da 15 anni che fa il volontario. E, proprio perché negli ultimi anni è diventato il volto noto del Telefono amico di Torino, da un po’ di tempo non risponde più alle chiamate. «Purtroppo», aggiunge. Un impegno nato per caso il suo, grazie a una e-mail che pubblicizz­ava il servizio, nato nel 1964. A introdurlo a Torino, tra le prime città in Italia ad averlo, furono i ragazzi del Gruppo Gioventù Crocetta. Il Telefono amico è ispirato al Life Samaritans Service, la help line nata nel 1953 a Londra per iniziativa del prete protestant­e ungherese Chad Varah, per prevenire il suicidio. «Il nostro è un servizio analogo. Le chiamate di persone che pensano o hanno pensato a questa eventualit­à esistono. A me stesso capitò, all’inizio della mia avventura come volontario, di sentirmi dire: “Lei è la mia ultima possibilit­à”. Purtroppo non so come sia andata a finire. Anche perché il Telefono amico non indirizza chi chiama verso un percorso terapeutic­o». Certo però il carico psicologic­o è forte anche per i circa quaranta volontari dell’associazio­ne nonostante siano appositame­nte formati. È difficile dire chi sono: si va dai ragazzi di vent’anni ai profession­isti, attraversa­ndo tutte le fasce sociali. Ognuno di loro copre un turno di tre ore alla settimana. Centottant­a minuti in cui arrivano dieci o dodici chiamate in media, nelle quali si entra ogni volta in contatto con un dolore nuovo e si incontrano le più varie vicende personali. Per questo una volta alla settimana il gruppo si incontra per confrontar­si. E dall’anno scorso sono nate anche le serate Open per far conoscere la cultura del l’ascolto dell’altro e, anche, individuar­e nuovi volontari per permettere al servizio di essere il più possibile sempre attivo.

L’équipe di volontari Non sanno chi chiama e non dicono chi risponde, ma ascoltano tutte le storie

Scatta un’empatia forte ma la loro amicizia dura solo poco

I contatti avvengono nella riservatez­za più completa Claudio Eba

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