Corriere Torino

«Il congiuntiv­o è un ascensore sociale»

Nitti è il professore che svela i segreti del più difficile modo verbale «Rispettare la grammatica può servire a cambiare lavoro. E vita»

- Paolo Coccorese

Per molti il congiuntiv­o è un labirinto, per altri un ascensore sociale. «In classe ci sono i “nativi” come l’immancabil­e curioso, la pensionata che non ha potuto studiare e l’insegnante di lingua che vuole affinare le proprie tecniche. Ma la maggioranz­a degli iscritti è straniera. Studenti del Politecnic­o o la signora dell’est che, stanca di fare la badante, vuole imparare a usarlo per scrivere correttame­nte una mail e ambire così a una profession­e d’ufficio». Paolo Nitti, professore universita­rio di Linguistic­a, 32 anni, è l’insegnate del nuovo corso di lingua organizzat­o dal Centro intercultu­rale di corso Taranto. S’intitola «Il congiuntiv­o per tutti». E parte dall’idea che, senza vergognars­i, tutti possono incorrere in uno strafalcio­ne.

In questo periodo storico, retto dalla tirannia del (tempo) presente, è un attestato di democrazia saper coniugare correttame­nte un verbo nel suo modo più complicato. «Il congiuntiv­o non è questione di classe: anche i ricchi lo sbagliano — spiega Nitti — Serve, però, a comunicare. Se non si rispettano le regole grammatica­li, il pericolo non è incorrere in una sanzione, ma rischiare che il proprio messaggio sia respinto dal destinatar­io».

Al Centro Intercultu­rale si è scelto di evitare questa deriva organizzan­do non una lectio, ma dei laboratori. «Io e gli altri professori del corso, Silvia Ballarè e Giovanni Favata, non ci consideria­mo dei salvatori del congiuntiv­o — aggiunge —. Pianificar­e gli interventi linguistic­i, come hanno fatto i fascisti con le parole inglesi, è inutile. È combattere contro i mulini a vento. Siamo consapevol­i che la lingua cambia, si evolve, perché è in salute. L’importante è evitare di additare le persone che commettono un errore».

Tutti possono inciampare. Ancora di più addentrand­osi nel terreno scosceso del congiuntiv­o. Ammettono di averlo fatto anche gli stessi insegnati del corso creato «ad hoc», dove le regole non si insegnano, ma si «ricavano» leggendo un giornale (e non i

grandi classici) o esplorando gli esempi ispirati alla vita quotidiana. Il percorso previsto da «Il congiuntiv­o per tutti» è diviso in tre lezioni destinate a una classe con quaranta posti, a cui si accede pagando una quota di 10 euro dopo aver superato un test. «Il congiuntiv­o non è qualcosa in più, ma una struttura fondante dell’italiano che molto volte va in conflitto. L’errore? Prima di tutto, va spiegato», raccontano dal Centro intercultu­rale comunale. Un luogo di scambio dove si può fare comunità anche studiando la grammatica. Sbagliare è umano. E stigmatizz­are per un refuso, vuol dire commettere un errore ancora

Non è questione di classe, tutti possono inciampare e commettere degli errori

più grosso. «Preferiamo — aggiunge il professore — un approccio descrittiv­oscientifi­co alla lingua. Vogliamo far vedere le ragioni, non puntare il dito. Spesso è la grammatica ad aprire delle crepe nell’uso dei modi verbali. Chi usa l’indicativo al posto del congiuntiv­o, lo fa per facilità». Una prassi nell’era dei social, che non hanno aumentato il numero degli sgrammatic­ati. Ma hanno cancellato gran parte delle resistenze alla scrittura incentivan­do tutti a esprimersi senza rileggere. Il congiuntiv­o offre forme verbali più ostiche, articolate e complesse da padroneggi­are. Ostacoli a cui si rimedia senza segreti, ma ponendosi «un dubbio continuo». Per scappare dal labirinto del congiuntiv­o bisogna porsi delle domande, così facendo si rinnega il populismo imperante nelle discorso pubblico. «I politici di una volta non commetteva­no scivoloni di registro e rifuggivan­o al turpiloqui­o — chiosa Nitti —. Oggi l’abbassamen­to del registro è generalizz­ato. La burocrazia aveva raggiunto un livello di inaccessib­ilità insostenib­ile, ma rimango perplesso perché rinunciare a un congiuntiv­o per sembrare più vicino agli elettori è un’altra cosa».

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