Mai una gioia per Lagioia
«Eeeeh... il fatto è che in Italia di feste del libro ce ne sono tante...». Si narra che così abbia risposto il ministro dell’istruzione Bussetti a quelli del Salone che gli chiedevano di confermare il consueto patrocinio del Miur. E difatti quest’anno per la prima volta a memoria d’uomo il Salone non ha il patrocinio del Miur; e all’inaugurazione il Bussetti non s’è visto, assente per «precedenti impegni». Eppure, alla luce della fantasmagorica pantomima degli ultimi giorni, persino un ministro potrebbe oggi capire che il Salone del Libro non è «una festa del libro come ce ne sono tante in Italia». E non soltanto per gli ovvi motivi che il Bussetti ignora confondendo il Salone con la Sagra delle Amene Letture di Pizzighettone; ma anche perché nessuna festa del libro in Italia — men che meno all’estero — riesce a trasformarsi, con geometrica regolarità, edizione dopo edizione, nel crocevia di qualsivoglia sturbo o problema agiti Torino o il Paese. Il Salone del Libro sta alle altre feste del libro come il Festival di Sanremo sta agli altri festival di canzonette: per quanta buona volontà ci si metta, si finisce sempre per parlare di tutto, fuorché di libri al Salone o di canzonette a Sanremo.
Quest’anno il povero Nic Lagioia s’era illuso: ancora alla presentazione del Salone Off, ai primi di maggio, mi diceva — gli occhi stillanti fiduciosa letizia — «stavolta non ci sono più grane, parleremo soltanto di libri». Di lì a poche ore la madre di tutte le grane gli si abbatteva sul
capino. Il povero Nic cede alla tentazione di puntualizzare un’informazione errata, e gli viene male; poi arriva il post improvvido del suo fedele consulente Christian Raimo; e nel breve volger d’un mattino il Salone, Lagioia, Torino e le sue istituzioni precipitano in una delle più memorabili piazzate mediatiche della recente storia sabauda. Il povero Nic s’è incavolato nero; ha litigato di brutto con Raimo; ha lanciato proclami empatici tentando invano di arginare la slavina; s’è sbattuto per convincere gli autori di sinistra a non disertare il Salone col fascista; e poi, cacciati i fascisti, per convincere gli autori di destra a non disertare il Salone che caccia i fascisti, e gli autori di sinistra a tornare al Salone liberato dai fascisti. Ha rabbonito Buttafuoco, ha blandito Carlo Ginzburg, ha richiamato Zerocalcare... Un massacro dei nervi.
Il povero Nic adesso prova a raccontarsela al positivo: «Almeno siamo passati dalle polemiche campanilistiche con Milano a un dibattito culturale e politico», ripeteva ieri a favore di microfoni. Ma ho l’impressione che, lui, quel «dibattito culturale e politico» se lo sarebbe volentieri risparmiato. E con lui tutti i benintenzionati e i benaltristi che per giorni si sono strologati su come uscire dal pantano immaginando ingegnose quanto improbabili soluzioni tipo tenersi Altaforte ma in compenso aprire ogni incontro leggendo tre brevi citazioni di autori antifascisti. Per
❞ Dopo quel che abbiamo passato che altro potrebbe capitarci? Beh, ieri sera già montava la fuffa dell’«attacco a Salvini». Intanto si fa il conto dei danni
fortuna alla fine il tizio di Altaforte, il Polacchi, l’ha fatta fuori dal vaso con le sue dichiarazioni fascistissime a «La Zanzara», offrendo così una ragionevole exit strategy alla politica. E il dignitoso no di Halina, fragile guerriera di novant’anni, ha trasformato in nobile scelta etica la fifa dannata dei nostri zuavi di ritrovarsi sputtanati sui giornali di mezzo mondo. Finita qui? Il povero Nic è per natura ottimista. Dopo quel che abbiamo passato, mi dice, che altro potrebbe capitarci? Beh, ieri sera già montava la fuffa dell’«attacco a Salvini». Intanto si fa il conto dei danni. Le prime vittime collaterali sono gli imprenditori che organizzano il Salone, «convinti» da Regione e Comune a stracciare il contratto con Altaforte: adesso loro si beccano sui denti una causa per inadempienza contrattuale, e se la perdono chi paga? Ieri ho sentito il Chiampa e Appendino dichiarare che «le istituzioni ci sono, sono presenti». Quando si tratterà di scucire i soldi, vedrete che presenze. Faranno la coda.
Comunque, per pagare c’è tempo. Invece un colpevole bisogna trovarlo subito. La fondamentale «Teoria delle fasi del progetto» murphiana (1. Entusiasmo;
2. Disillusione; 3. Panico; 4. Ricerca del colpevole; 5. Punizione dell’innocente; 6. Gloria e onore ai non partecipanti) ci indica la road map: superata la fase 3, sul Salone incombono le fasi
4 e 5. Al momento la direzione di Nic Lagioia non è a rischio, ma a Torino non si può mai dire.