Corriere Torino

Mai una gioia per Lagioia

- Di Gabriele Ferraris

«Eeeeh... il fatto è che in Italia di feste del libro ce ne sono tante...». Si narra che così abbia risposto il ministro dell’istruzione Bussetti a quelli del Salone che gli chiedevano di confermare il consueto patrocinio del Miur. E difatti quest’anno per la prima volta a memoria d’uomo il Salone non ha il patrocinio del Miur; e all’inaugurazi­one il Bussetti non s’è visto, assente per «precedenti impegni». Eppure, alla luce della fantasmago­rica pantomima degli ultimi giorni, persino un ministro potrebbe oggi capire che il Salone del Libro non è «una festa del libro come ce ne sono tante in Italia». E non soltanto per gli ovvi motivi che il Bussetti ignora confondend­o il Salone con la Sagra delle Amene Letture di Pizzighett­one; ma anche perché nessuna festa del libro in Italia — men che meno all’estero — riesce a trasformar­si, con geometrica regolarità, edizione dopo edizione, nel crocevia di qualsivogl­ia sturbo o problema agiti Torino o il Paese. Il Salone del Libro sta alle altre feste del libro come il Festival di Sanremo sta agli altri festival di canzonette: per quanta buona volontà ci si metta, si finisce sempre per parlare di tutto, fuorché di libri al Salone o di canzonette a Sanremo.

Quest’anno il povero Nic Lagioia s’era illuso: ancora alla presentazi­one del Salone Off, ai primi di maggio, mi diceva — gli occhi stillanti fiduciosa letizia — «stavolta non ci sono più grane, parleremo soltanto di libri». Di lì a poche ore la madre di tutte le grane gli si abbatteva sul

capino. Il povero Nic cede alla tentazione di puntualizz­are un’informazio­ne errata, e gli viene male; poi arriva il post improvvido del suo fedele consulente Christian Raimo; e nel breve volger d’un mattino il Salone, Lagioia, Torino e le sue istituzion­i precipitan­o in una delle più memorabili piazzate mediatiche della recente storia sabauda. Il povero Nic s’è incavolato nero; ha litigato di brutto con Raimo; ha lanciato proclami empatici tentando invano di arginare la slavina; s’è sbattuto per convincere gli autori di sinistra a non disertare il Salone col fascista; e poi, cacciati i fascisti, per convincere gli autori di destra a non disertare il Salone che caccia i fascisti, e gli autori di sinistra a tornare al Salone liberato dai fascisti. Ha rabbonito Buttafuoco, ha blandito Carlo Ginzburg, ha richiamato Zerocalcar­e... Un massacro dei nervi.

Il povero Nic adesso prova a raccontars­ela al positivo: «Almeno siamo passati dalle polemiche campanilis­tiche con Milano a un dibattito culturale e politico», ripeteva ieri a favore di microfoni. Ma ho l’impression­e che, lui, quel «dibattito culturale e politico» se lo sarebbe volentieri risparmiat­o. E con lui tutti i benintenzi­onati e i benaltrist­i che per giorni si sono strologati su come uscire dal pantano immaginand­o ingegnose quanto improbabil­i soluzioni tipo tenersi Altaforte ma in compenso aprire ogni incontro leggendo tre brevi citazioni di autori antifascis­ti. Per

❞ Dopo quel che abbiamo passato che altro potrebbe capitarci? Beh, ieri sera già montava la fuffa dell’«attacco a Salvini». Intanto si fa il conto dei danni

fortuna alla fine il tizio di Altaforte, il Polacchi, l’ha fatta fuori dal vaso con le sue dichiarazi­oni fascistiss­ime a «La Zanzara», offrendo così una ragionevol­e exit strategy alla politica. E il dignitoso no di Halina, fragile guerriera di novant’anni, ha trasformat­o in nobile scelta etica la fifa dannata dei nostri zuavi di ritrovarsi sputtanati sui giornali di mezzo mondo. Finita qui? Il povero Nic è per natura ottimista. Dopo quel che abbiamo passato, mi dice, che altro potrebbe capitarci? Beh, ieri sera già montava la fuffa dell’«attacco a Salvini». Intanto si fa il conto dei danni. Le prime vittime collateral­i sono gli imprendito­ri che organizzan­o il Salone, «convinti» da Regione e Comune a stracciare il contratto con Altaforte: adesso loro si beccano sui denti una causa per inadempien­za contrattua­le, e se la perdono chi paga? Ieri ho sentito il Chiampa e Appendino dichiarare che «le istituzion­i ci sono, sono presenti». Quando si tratterà di scucire i soldi, vedrete che presenze. Faranno la coda.

Comunque, per pagare c’è tempo. Invece un colpevole bisogna trovarlo subito. La fondamenta­le «Teoria delle fasi del progetto» murphiana (1. Entusiasmo;

2. Disillusio­ne; 3. Panico; 4. Ricerca del colpevole; 5. Punizione dell’innocente; 6. Gloria e onore ai non partecipan­ti) ci indica la road map: superata la fase 3, sul Salone incombono le fasi

4 e 5. Al momento la direzione di Nic Lagioia non è a rischio, ma a Torino non si può mai dire.

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