Corriere Torino

Halina e quel miracolo nella camera a gas

Per seguire la madre nei campi mentì sull’età: trattate come bestie

- di Massimilia­no Nerozzi

Èla più piccola, seduta in prima fila e avvolta nel foulard a fiori, eppure è la più grande, Halina Birenbaum: «Ho vinto un’altra battaglia», dice a bassa voce, ancora prima che inizi l’inaugurazi­one del Salone. Lei, sopravviss­uta a molti inferni — Majdanek, Auschwitz, Ravensbrüc­k e Neustadt-glewe — è una vita che combatte: «Ci sono sempre più organizzaz­ioni fasciste e razziste che propongono quelle idee che c’erano quando avevo 10 anni: ne ho quasi

90, e ci sono ancora». Ma, tra il polacco che le esce spontaneo, l’ebraico della famiglia e l’yiddish del ghetto, non si arrende, come fece nei campi di concentram­ento nazisti, dove fu rinchiusa, dai 13 ai 15 anni. Anche quando, «il primo gennaio 1945», un militare delle SS le sparò dalla torretta, trapassand­ole il braccio e piantando la pallottola vicino al polmone: «Mi dissi: “Non posso mica morire adesso, dopo essere uscita viva dai treni stipati e dalla camera a gas, perché il gas, quel giorno, era finito”». E così, fece: «Mi sono aggrappata alla vita, con le unghie e con i denti, e sono sopravviss­uta». Non servono aggettivi, basta ascoltarla. La potenza delle parole che rende comici l’arrivo e la partenza, entrambi frettolosi, del ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli, con la scorta e il codazzo dietro: poche frasi, e via, «per un impegno a Roma». Chissà che deve aver pensato Halina, che per i 70 anni della liberazion­e di Auschwitz, parlò davanti a Merkel, Obama e Putin. Se non altro, Chiamparin­o e Appendino rinunciano ai loro discorsi: stavolta, è meglio ascoltare.

La tragedia inizia alle elementari: «Primo settembre

1939, l’invasione della Polonia: Varsavia, dove abitavo, ha le case in fiamme ed è piena di macerie». E poi, c’è il programma di Hitler: «Noi ebrei non avevano diritto di vivere». Il primo passo verso lo sterminio fu il ghetto: «Sono cresciuta lì — racconta, parlando per 24 minuti — con i cadaveri nelle strade e la possibilit­à di morire tutti i giorni». Arriva il 1943: «E mezzo milione di ebrei vengono portati ai lavori forzati, verso est, ma in realtà

significav­a andare nei campi di concentram­ento, con le camere a gas». Per un po’, si nasconde tra soffitte e cantine, «con una fame incredibil­e, placata solo da qualche zolletta di zucchero». Poi: «Ci presero. E mia mamma mi fece subito: “devi dire che hai 17 anni, e non 13”. Nei campi, bambini non ne volevano». Furono buttate su un vagone: «Di quelli per il bestiame, con cento persone. Papà Jacob fu picchiato sulla piazza dalle SS: e fu l’ultima volta che lo vidi. Era la Pasqua del 1943». La prima tappa è Majdanech, «e lì ci fu l’ultimo sguardo a mio fratello: di lui non ho neanche una foto». C’è freddo, sabbia, polvere, ma la mamma, Pola, cerca di rincuorarl­a: «Uscita dai bagni, avrei voluto abbracciar­la, per dirle che eravamo vive: ma l’avevano presa per la camera a gas». Due mesi più tardi, arriva ad Auschwitz, «dopo un viaggio di 30 ore». Capita di tutto: «Ogni tanto, a 18 gradi sotto zero, ci mettevano in ginocchio, con le braccia alzate e un mattone in ciascuna mano: dopo un po’, cadevi nel fango». Una donna le fece coraggio: «Il mondo ci sarà ancora e su di noi faranno dei film», mi disse. «Io sono sopravviss­uta, e quel mondo l’ho visto».

Ci vuole davvero una smisurata «Forza di vivere», che è anche il titolo del suo ultimo libro, che presenta insieme ai ragazzi del Treno della memoria: «Un Natale, da una parte c’era l’albero, dall’altra il camino dei forni». Fu ad Auschwitz che raccontò la sua storia per la prima volta: «Mi fermai davanti alla branda dove dormivo, nel Blocco 27: “La speranza è l’ultima a morire”, dissi ai ragazzi che accompagna­vo». Quei 300 che l’ascoltano in Sala azzurra, sono già in piedi, ad applaudire.

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Halina Birenbaum, 90 anni, è una sopravviss­uta all’olocausto Scrittrice poetessa e traduttric­e e attivista. Nata a Varsavia, Birenbaum trascorse la sua infanzia nel ghetto di Varsavia e poi nei campi di concentram­ento tedeschi: Majdanek, Auschwitz, Ravensbrüc­k e Neustadtgl­ewe, da cui fu liberata nel 1945
Chi è Halina Birenbaum, 90 anni, è una sopravviss­uta all’olocausto Scrittrice poetessa e traduttric­e e attivista. Nata a Varsavia, Birenbaum trascorse la sua infanzia nel ghetto di Varsavia e poi nei campi di concentram­ento tedeschi: Majdanek, Auschwitz, Ravensbrüc­k e Neustadtgl­ewe, da cui fu liberata nel 1945
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