Corriere Torino

La marcia No Tav accusa i grillini

Ferrero, l’unica Cinquestel­le presente al corteo: «A Torino siamo coerenti, ha sbagliato Roma» Valsusa, tutti delusi per il sì all’opera. Sassaiola e lacrimogen­i davanti al cancello del cantiere

- Di Massimilia­no Nerozzi

Dove tira il vento della protesta quassù in Val Susa lo si capisce subito, dal primo cartello che sbuca tra gli stand del Festival dell’alta Felicità: «Dalle (5) Stelle alle stalle. Nessun governo amico». La cucina resistente, il camping, la marcia sono sempre griffate No Tav, ma il gran nemico, ormai, è chi l’opera permetterà, pur avendo promesso il contrario. Sintetizza Antonio, «quasi settant’anni», toscano, dietro al banco del «Nucleo pintoni attivi», con panino alla toma e un bicchiere di Barbera a 4 euro: «Di Maio, mi fa una pippa».

Sono tutti contro la Tav, ovviamente, e tutti furibondi con il governo. Se durante la lunga marcia che porterà al cantiere ci sono i soliti cori contro Salvini, quelli che proprio qui non sopportano sono i Cinque Stelle: «A Torino aveva pure votato un ordine del giorno contro la Tav. Ridicoli». Dietro ad Antonio campeggia uno striscione che fa il verso al Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, con aggiunta di slogan: «Fino all’ultima battaglia, fino all’ultima bottiglia». Del resto, la chiacchier­a politica si mischia al vino e alla carne dei «Fornelli selvaggi».

In giro non si vede un leader dei Cinque Stelle quando, l’ultima volta a Torino, si presentò l’allora vicesindac­o Guido Montanari, con la fascia tricolore. Vengono avvistati un paio di consiglier­i comunali torinesi, Daniela Albano (ma se ne andrà presto), e Viviana Ferrero. «Meglio che girino al largo», dice la ragazza, treccine bionde e piercing sopra l’occhio: «Li avevo pure votati». Cielo da pioggia, e mica solo in senso figurato, tant’è che prima della partenza del corteo, diluvia. «Speriamo che sia una manifestaz­ione bagnata e fortunata — sorride Alberto Perino, icona del movimento No Tav — e che sia di testa e non di pancia». Ovvero: «Ogni sasso, ogni castagna tirata, sarà un regalo a Salvini». Non andrà proprio così, ma neppure ci saranno scene di guerriglia degli anni passati. Però, rivendica la coerenza di tutta la gente arrivata qui: «Noi ci siamo, ci siamo stati e ci saremo sempre, non come chi, per 15 mesi, si è finto No Tav». Chi, è presto detto: «Di Maio e alcuni dei Cinque Stelle».

Si parte finalmente, dalla località Borgo VIII dicembre, a Venaus, verso il cantiere di Chiomonte, seguendo la statale del Moncenisio e poi per l’antico sentiero Gallo-romano di Giaglione, lungo il fiume Clarea. Mentre le casse sparano Vasco (Gli spari sopra) e Talco (St Pauli), il sole fa ingrossare il corteo: magari non fino ai 15 mila urlati al microfono, ma a 10 mila ci si arriverà. «Noi andiamo avanti, a testa alta, perché abbiamo la coscienza pulita», dice Dana Lauriola, anima del centro sociale Askatasuna e del movimento No Tav piemontese. Lei che, alla fine, esulta dal palco del festival: «Abbiamo violato la zona rossa e dimostrato quello che facciamo, da anni: che non molliamo, che resistiamo». Poco prima di arrivare al primo cancello, inizia la strategia: «Questi sono i nostri sentieri — raccontano gli organizzat­ori — e ora ci divideremo e raggiunger­emo il cantiere con percorsi diversi: tanti ruscelli per formare una marea immensa. Gli faremo una bella sorpresa». Come un po’ sarà.

Arrivati alla frazione San Lorenzo, di Giaglione, un pezzo del corteo sterza brusco a destra, lungo una stradina sterrata che si arrampica come fosse il Mortirolo, tra le vigne. Saranno due-trecento persone. «Giornalist­i non ne vogliamo». Amen, siamo già in mezzo al bosco. «Però, niente foto, perché ogni scatto ci becchiamo una denuncia». Camminano per almeno un’ora, mentre la stradina si fa sentiero, transitabi­le uno alla volta, tra alberi caduti, rami di more, vecchi muri di pietre, piccoli ruscelli. La colonna si allunga, e davanti si inizia a sentire la puzza dei lacrimogen­i. Fin lì, l’unico rumore erano i canti: «Si parte si torna insieme, Chiomonte come Atene, siam tutti black block». Solo che, a un certo punto, di black block ne spuntano davvero: paracollo alzato, k-way nero, cappuccio e guanti, occhiali da saldatore. E dopo il primo assalto, un altro ancora, sull’altro versante. Ripercorre­ndo il sentiero, un paio di vecchi militanti guardano da lontano l’assedio: «Si sono messi d’accordo, Lega e Cinque Stelle: e così il governo che si era detto contrario farà la Tav». L’altro scuote la testa: «Ormai, è tutto finito».

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