Il cacciatore di latitanti: «Così ho preso il narcos del Canavese»
Parla Andrea Caputo, il maggiore dei carabinieri che ha preso nicola assisi in brasile
«Per riuscire a individuare un latitante ci possono volere anni di lavoro, ma quando bisogna arrestarlo si decide tutto in poche ore. Affidandosi al momento in cui le probabilità di successo sono maggiori».
A un mese esatto dalla cattura in Brasile di Nicola Assisi, considerato il più importante broker di cocaina al servizio della ‘ndrangheta, il maggiore Andrea Caputo ricostruisce le ultime fasi dell’indagine che ha portato i carabinieri del nucleo investigativo di Torino a Praia Grande, alle porte di San Paolo.
Assisi e il figlio Patrick si nascondevano sotto falso nome agli ultimi due piani di un lussuoso grattacielo a due passi dalla spiaggia. Erano inseriti nella lista dei cento più pericolosi latitanti mondiali, ma la loro fuga è finita alle 6.30 dell’8 luglio, quando la polizia federale brasiliana ha fatto esplodere le porte d’ingresso e li ha sorpresi nel sonno.
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Indagini in corso Dobbiamo ancora capire in quali operazioni abbiano usati i nomi falsi
Assisi era riuscito a fuggire dal Portogallo nel 2014 ed era un «fantasma» da 5 anni, come avete fatto a trovarlo?
«Abbiamo monitorato tutti i suoi contatti, i familiari in Italia e ogni possibile indizio che potesse ricondurre a Nicola e a suo figlio. Quando abbiamo avuto il sospetto che si trovasse in Brasile abbiamo avvisato le autorità locali ed è iniziata un’attività di stretta collaborazione che non si è conclusa».
Le indagini sono ancora in corso?
«Assolutamente sì. Ci sono molti aspetti ancora da approfondire. I due ricercati sono stati sempre prudenti e non hanno commesso errori. Avevano documenti falsi con i quali potevano assumere tre identità diverse e dobbiamo capire per quali operazioni hanno utilizzato gli “alias”».
Quando avete avuto la certezza che Nicola e Patrick Assisi si trovassero in quel grattacielo?
«Il nascondiglio è stato individuato pochi giorni prima dell’arresto. Patrick viveva con la moglie e i figli nel superattico con piscina, mentre Nicola era al piano di sotto in 4 appartamenti collegati fra loro con infinite via di fuga. Gli alloggi erano protetti da telecamere ad alta definizione più una “dom” panoramica, tutte collegate a monitor interni. Sapevamoche riuscire a sorprenderli non sarebbe stato facile, ma temevamo che potessero spostarsi in un altra località più sicura».
Cosa vi ha insospettito?
«Documenti falsi, movimenti di soldi e altri particolari che per il momento non si possono rivelare. Inoltre la frontiera brasiliana non è impossibile da attraversare e a quel punto avremmo dovuto ricominciare tutto da capo. Non potevamo correre questo rischio»
Perché avete scelto l’8 luglio per intervenire?
«Io sono partito due giorni prima per San Paolo assieme a un sottufficiale del nucleo investigativo. Non mi piace organizzare operazioni nei giorni festivi perché cambiano le abitudini delle persone. E poi domenica era in programma la finale della Coppa America, ci sarebbe stata troppa confusione. Abbiamo aspettato 24 ore e dal momento in cui sono saltate le serrature a quando si sono ritrovati con le armi puntate contro sono passati 4 secondi al massimo. Non hanno avuto nessuna possibilità di reagire».
Che cosa avete pensato in quegli istanti?
«Cinque anni di lavoro concentrati in un attimo, non c’è stato nemmeno il tempo di riflettere. Non ho avuto la possibilità di interrogare i due arrestati, ma le pratiche per l’estradizione sono state avviate. Ci potrebbero volere alcuni mesi, forse un anno».
A San Giusto si decide la destinazione della villa confiscata agli Assisi. L’incendio dello scorso anno dimostra che in Canavese la ‘ ndrangheta è ancora molto forte?
«Gli autori materiali restano sconosciuti, ma le modalità con cui è avvenuto sono più che sospette. Anche su quel fronte le indagini sono ancora aperte e possiamo parlare solo di ipotesi. In ogni caso l’arresto di Nicola e Patrick Assisi è stato un duro colpo».