Corriere Torino

«Il figlio è un problema E così l’ha gettato via»

In appello disposta una nuova perizia psichiatri­ca per Valentina Ventura Il giudice di primo grado: la mamma di Settimo «lucida e determinat­a»

- Lorenzetti

Per Valentina Ventura, la mamma di Settimo Torinese che la mattina del 30 maggio 2017 partorì un bambino nel bagno di casa e poi lo gettò in strada dal balcone della cucina, sarà necessaria una nuova perizia psichiatri­ca. A deciderlo, dopo la condanna a 14 anni stabilita al termine del processo di primo grado celebrato in abbreviato, è stata la Corte d’appello di Torino. Per il giudice dell’udienza preliminar­e che la condannò, Valentina era capace di intendere e di volere quando uccise suo figlio: «Lo gettò via perché per lei era un problema».

La mattina del 30 maggio del 2017 Valentina Ventura, 35 anni, partorì un bambino nel bagno di casa. Lo avvolse in un piccolo asciugaman­o verde chiaro e lo gettò in strada dal balcone della cucina del suo alloggio in via Turati, a Settimo Torinese. Sono passati poco più di due anni e il prossimo 2 ottobre la donna, già condannata a 14 anni di carcere in abbreviato, tornerà in aula per il processo d’appello. Ma ancora una volta, così come è stato in primo grado, il suo destino processual­e è legato a una perizia psichiatri­ca che dovrà stabilire se fosse capace d’intendere e di volere quando buttò suo figlio appena nato e valutare la sua pericolosi­tà sociale.

Si riparte, quindi, dall’analisi

La sentenza Per il gup «se il marito avesse scoperto il tradimento le avrebbe portato via l’altra figlia»

di un esperto. Nel corso del primo processo, la perizia redatta dal professor Enrico Zanalda, che aveva concluso per l’infermità mentale della donna al momento dell’omicidio, è stata contestata e respinta dal gup di Ivrea Marianna Tiseo. Si legge nelle motivazion­i della sentenza: «Le valutazion­i dell’esperto sono basate su una lettura assolutame­nte parziale e, talora, non condivisib­ile dei dati d’indagine, essendosi il perito limitato ad analizzare e a riportare quanto riferito dall’imputata senza alcun vaglio critico delle dichiarazi­oni rese alla luce delle altre chiare ed inequivoca­bili emergenze documental­i». E si sottolinea poi che «è emersa pacificame­nte la tendenza dell’imputata a mentire e a nascondere la verità agli altri».

Valentina (assistita dall’avvocato Patrizia Mussano) rimase incinta nell’autunno del 2016. E non sapeva chi fosse il padre: se il compagno con cui conviveva e dal quale nel 2013 aveva avuto una bimba (colpita da una malattia degenerati­va eredita dall’uomo) o l’ex fidanzatin­o di gioventù con il quale da alcuni mesi aveva intrecciat­o una relazione (come poi effettivam­ente confermato dal test del Dna). Per tutto il tempo della gravidanza la donna ha sempre negato di essere in attesa di un bambino. A chi le chiedeva se fosse incinta — che si trattasse della sorella, della suocera o della cassiera del supermerca­to — lei rispondeva «no», spiegando di aver messo su solo qualche chilo a causa dello stress.

Per il professor Zanalda l’imputata «ha presentato una forma depressiva grave durante la gravidanza, che si è complicata con la negazione della stessa. Tale negazione ha avuto carattere pervasivo e si è sommata, al momento del parto, a quelle ulteriori modificazi­oni psichiche proprie dello stesso, così da escludere la capacità di intendere e volere al momento dei fatti. Non aveva la consapevol­ezza di uccidere il neonato, ma solo l’impulso ad allontanar­lo da sé».

Di altro avviso il gup, che evidenzia come Valentina abbia sempre «negato» di essere in attesa e solo più tardi, quando il procedimen­to penale era in corso, ha «sostenuto di non sapere di essere incinta». In sostanza, per il giudice Valentina negava ma non aveva alcun dubbio sulla propria gravidanza. Quel che appare certo, secondo il gup Tiseo, è che Valentina non volesse un secondo bambino «avendo già una figlia affetta da una grave patologia neurologic­a». «D’altra parte, si badi bene — scrive il giudice —, anche se il neonato fosse stato figlio dell’amante, un altro bambino avrebbe comunque costituito un grosso problema». La donna, in tal caso, «avrebbe rischiato di perdere la figlia, alla quale è legatissim­a, perché nel momento in cui il compagno avesse scoperto il tradimento l’avrebbe lasciata e avrebbe chiesto l’affidament­o della bambina. Ne consegue che la decisione di nascondere a tutti lo stato di gravidanza era necessitat­a». La mattina in cui partorì, Valentina venne «presa alla sprovvista dall’evento inaspettat­o» e «sapendo che in casa c’era il convivente, con un gesto d’impeto, pensando in quel momento di non avere altra scelta per evitare il problema, ha gettato il bambino in strada». Poi in maniera «lucida» e «consapevol­e», nonché con «volontà e determinaz­ione», ha cercato di far «sparire le tracce del delitto commesso».

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