CAVARSELA DA SOLI
Il governo gialloverde non è mai stato molto vicino a Torino, e non solo perché nell’esecutivo non c’erano presenze di rilievo che fossero espressione del suo sistema locale. Con Roma non esisteva sintonia reale e così questioni che sono dirimenti per le sorti di Torino avevano una posizione a volte neppure marginale nell’agenda governativa. Quindi la distanza che separa il Mise, il ministero dello Sviluppo economico che si era intestato Di Maio, insieme con quello del Lavoro, dai problemi con cui si misura il nostro sistema produttivo è apparsa sempre grande. Qualche mese fa, allo scopo di mostrare un’apertura nei confronti del nostro territorio, il Mise, d’intesa con l’amministrazione municipale, ha iscritto Torino fra le «aree di crisi complessa», accogliendo l’idea di fare qualcosa che andasse incontro all’industria dell’auto e alla sua trasformazione. Non a tutti è andata a genio la soluzione di dichiarare Torino area di crisi; non di meno, in assenza di ogni altro progetto, era parso pur sempre meglio di niente, nell’opinione delle rappresentanze organizzate, tanto più se ciò poteva garantire risorse e incentivi a sostegno dell’economia locale.
Lunedì s corso si è tenuta una riunione a Roma, in cui si è indicata la fine dell’anno come scadenza per la presentazione di programmi operativi. Ma adesso, con la crisi politica ormai in pieno svolgimento, che spazio potrà rimanere per tali iniziative? Giusto sei mesi fa, poi, il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia aveva voluto annunciare proprio a Torino la costituzione di un tavolo di lavoro specificamente dedicato al cambiamento in atto nel mondo dell’automobile. Da esso sarebbero dovute venire in qualche mese delle proposte di supporto al settore. A quanto risulta, il documento di Confindustria è pronto. Già, ma a chi destinarlo adesso, visto che il soggetto cui era indirizzato doveva essere il solito Mise col ministro Di Maio? Se Torino può trarre una lezione da vicende come queste è che mai come ora deve fare leva sulle proprie forze e su stessa per trovare una via d’uscita dallo suo stato di blocco. Dall’esterno, nei prossimi tempi, non verrà nulla, sicché è giocoforza attingere alle risorse interne per rompere una stasi che non può che peggiorare, mese dopo mese. Torino deve cercare da sé le ragioni del proprio rilancio, guardando in faccia la criticità della sua attuale condizione e sapendo che da un’amministrazione municipale stremata e priva di qualsiasi prospettiva che non sia quella di concludere come può il suo mandato non potrà venire alcuna sponda.
La città è chiamata a mettersi alla prova per scoprire se possiede le capacità e la volontà di dare vita a nuove forme di cooperazione tra le forze che per loro natura sono costrette a proiettarsi al di là dei limiti attuali. Con la consapevolezza che i nodi non potranno essere sciolti a Roma. Dalla capitale infatti non sono venuti che elementi di confusione e resistenze (come traspare anche dal caso del Parco della salute).