Il Po è un jolly e può diventare motore di sviluppo
Pochi giorni fa, il Consiglio comunale ha approvato una mozione che impegna sindaca e giunta a designare il Po come «bene comune da tutelare e valorizzare» oltre che a recuperare i sei attracchi fluviali da Moncalieri ai Murazzi «non soltanto per il trasporto turistico ma anche per la fruizione sicura da parte dei singoli cittadini, in un primo momento anche solo come punti panoramici e aggregativi». La stessa mozione impegna il governo urbano a utilizzare anche le competenze delle società remiere presenti sul fiume Po nello «sviluppare il progetto di fruizione e un progetto di informazione e formazione per i frequentatori degli attracchi in caso di eventi atmosferici». I firmatari della mozione, quindi, chiedono di avviare una procedura di messa a bando degli attracchi, procedendo in accordo con Gtt per quanto riguarda la gestione e la manutenzione delle strutture per l’imbarco/sbarco dei natanti a remi, favorendo nel bando l’aggregazione di più enti e associazioni.
Che esiti avrà la mozione si vedrà. Però, ha almeno il pregio di evocare il tema della situazione e delle potenzialità dell’area cittadina percorsa dal più grande fiume italiano, che potrebbe essere un rilevante fattore di sviluppo innanzi tutto per la città. Come dimostrano i casi del Tamigi a Londra, della Senna a Parigi, del Danubio a Vienna.
Nessun’altra città italiana ha un patrimonio come quello formato dal Po torinese: dalle sue sponde e dalle aree limitrofe, a partire da Moncalieri fino a San Mauro; il parco del Valentino e quelli più recenti, come Colletta e Vallere; le storiche società canottiere, i circoli sportivi, i locali caratteristici tipo l’imbarchino, i giardini lambiti dall’acqua; i maestosi palazzi su una riva e la meravigliosa precollina sull’altra. Un panorama unico per la sua bellezza. Dall’alto un quadro idilliaco; ma chi voga sul Po o ne percorre le sponde constata una situazione ben diversa. Fra l’altro, si possono vedere scarichi di dubbia provenienza, rifiuti abbandonati, zone degradate e altre non curate, piste e sentieri non attrezzati, locali chiusi da anni, giochi rotti, aree dominate dagli spacciatori. Per non parlare dell’impossibilità di frequentare quasi tutta l’area dopo il tramonto, quando, altrove, le rive dei grandi fiumi vengono rianimati dai frequentatori dei ristorantini, dei battelli, da giostre e spettacoli dal vivo, da mostre e musicanti, da impiegati e manager che fanno jogging su percorsi ben illuminati e sicuri, da tante famiglie a passeggio, da migliaia di turisti. Il Po torinese può diventare un rilevante motore economico e occupazionale di sviluppo. Non è difficile immaginare come potrebbe risultare tutta la lunga fascia che affianca lo scorrimento del fiume se venisse considerata come un unicum, interamente collegata, dotata di campi per sport, piscine, passeggiate, lidi aperti e curati, ins0tallazioni per diverse attività confacenti al luogo, locali destinati a ospitare manifestazioni culturali, la movida. Certo, occorrerebbe un progetto ampio e ambizioso, coordinato con l’agenzia interregionale per il fiume Po, le Sovrintendenze, coinvolgente i soggetti privati e pubblici già operanti ma anche nuovi investitori specializzati. Sarebbe indispensabile, però, prima di tutto, che il governo locale si ponesse l’obiettivo della grande valorizzazione del Po torinese, inteso come una risorsa di valore internazionale, perseguendolo, poi, con determinazione.
Non lanciare la sfida del «Po nuovo tesoro di Torino» sarebbe un errore grave, che la città, impoverita, non dovrebbe permettersi. Il Po è un jolly naturale, ma va giocato, il più presto possibile.