Sfregio al fiume con rifiuti e rive che cedono
Inchiesta del Corriere in sette tappe per raccontare il degrado che soffoca Torino: oggi la quarta puntata
Continua a franare la sponda sul Po, lato corso Moncalieri, giù oltre il ponte Isabella, e nessuno arresta questo lento scivolare nell’acqua. E l’erba alta s’è impossessata delle rive. In lungo Po Antonelli, chi porta a spasso il cane o si riposa su una della panchine verdi fronte fiume ha l’impressione di trovarsi in una selva, altroché in un quartiere tranquillo e verde accessibile anche al conto corrente di un giovane.
Povero Po. Un tempo era il mare di chi non andava al mare. Con spiagge sabbiose, ombrelloni e stabilimenti per le madamin e i monsù come a Parigi lungo la Senna. Oggi non più. Il Po è ancora uno dei posti dove le mamme passeggiano con le carrozzine, certo, ma sotto via Napione bisogna stare attenti a escrementi, bicchieri abbandonati, resti degli arnesi costruiti da qualcuno per sballarsi.
I runner solcano ancora le strade del Valentino. Ma le signore adesso devono programmare la corsa nei minimi dettagli, evitando le zone meno battute e di trovarsi la sera da sole. Perché non si sa mai
che cosa può succedere. È che qui al Vale, quasi tutti i locali hanno chiuso e gente in giro ce n’è meno di una volta con tutto ciò che ne consegue.
«Alle persone piace avere molta scelta, ormai qui da noi si può andare in uno, due posti e molti si spostano altrove», commenta l’architetto Gian Luigi Favero dal suo punto di osservazione privilegiato: il circolo canottieri Armida che, nel 2019, compie 150 anni.
Tutti trascorsi, inutile sottolinearlo, sul Po, dove l’armida spera di restare ancora a lungo, dato che la concessione dell’area va rinnovata. Una società gloriosa che, con la Cerea, la Caprera, l’esperia e il Circolo Eridano, ha contribuito a fondare la Federazione italiana canottaggio. Ma anche qui la crisi si sente.
«Noi viviamo grazie ai corsi, che sono spesso la sera, quindi al buio. Più iscritti ci sono, più aumentano i soci e il circolo sta bene. Negli ultimi mesi abbiamo patito. Anche perché da noi, a differenza di altri, si arriva solo passando dal Valentino. Ora l’imbarchino ha riaperto, ma uno non basta a portare gente e sicurezza».
E mentre nei vecchi luoghi della movida torinese dell’estate è la devastazione. Del Fluido è rimasto solo lo scheletro e là dove c’erano il bancone e i tavoli ora si sono accumulati mobili rotti, grondaie a metà, cartacce di ogni genere. Le scale che portano al fiume sono un tappeto di siringhe. Lo Chalet è un deposito di legna, transenne, cartelli.
Al Cacao gli alberi si sono fatti largo conquistando le piste da ballo. Alla Rotonda la musica si è spenta cinque anni fa e la discoteca è diventata prima ricovero per i senzatetto e poi stanza del buco. Ora un pesante lucchetto prova a tenere lontano i disperati.
Ma chissà se qui si rivedranno mai i ragazzi che il sabato sera attraversavano la strada da tutte le parti e le macchine incolonnate ai semafori alla ricerca di un parcheggio. E i battelli Valentino e Valentina adesso giacciono uno nel deposito Gtt di corso Novara e l’altra in quello di via Fiochetto. Sono lì dalla piena del Po del 2016, quando la furia dell’acqua stappò gli ormeggi, affondando Valentina.
Per quell’evento la signora Graziella Perosino dell’omonimo imbarco attende ancora il risarcimento.
«Il problema è che sono quarant’anni che non si pulisce il letto del fiume. Si è alzato di due metri, la prossima volta arriverà al primo piano della mia struttura, dove abito io. Mio padre acquistò i muri nel 1936 su un terreno del Comune. Adesso ci dicono che non è così, che anche l’edificio è loro e dobbiamo pagare un affitto dieci volte più alto».
Al Perosino i clienti ci sono. Appena inizia a far bello, i torinesi pensano subito ad andare a pranzo da Graziella e a volte bisogna anche mandare via qualcuno.
Però non basta. «Noi lavoriamo solo sei mesi all’anno e certi costi non li possiamo sostenere. Io ho 80 anni, mia figlia vorrebbe continuare ma se non cambieranno le condizioni chiuderemo a fine anno».
E il buco nero rischia di allargarsi. Come ai Murazzi dove, però, la prossima estate dovrebbero finalmente riaprire almeno sei locali. Uno sarà il cocktail bar di Filippo Camedda: «Attendiamo un ultimo documento dai Vigili del fuoco sui dehor, poi presenteremo il progetto al Comune e dopo l’estate speriamo di far partire i lavori». Mentre sul fiume si adombra il pericolo dell’inquinamento da plastiche e il ritorno delle alghe.