Corriere Torino

Vasche di ghisa e glicine al profumo di nostalgia

- di Gianni Farinetti

Si aggirano nelle stanze vuote sollevando il lembo di un lenzuolo che protegge un divano, passando un dito sul leggero strato di polvere di un tavolo. Sospiro. «Certo che zia Mariù non buttava via mai niente». Altro sospiro osservando il fagiano impagliato sul caminetto. «Mi ha sempre fatto impression­e, quello», «A me di più la testa del cinghiale nell’atrio», «Uhhh, tremenda, bisogna dare aria, aria, questa casa sembra un mausoleo. Di sopra ci sono ancora i cassetti pieni di biancheria, e sai cosa ho trovato?», «No», «Una pistola, sai quelle da donna, piccola, con il manico di madreperla», «Ah, una volta, da bambino, l’ho impugnata, avessi sentito le grida della zia!», «Ma era carica?», «Mannò, la teneva per spaventare i ladri nel caso avessero fatto irruzione, ma non è mai successo». «Quante volte mi hai decantato le tue, suppongo noiosissim­e, villeggiat­ure da ragazzino quassù», «Eh, si stava mica male, la zia faceva la marmellata di ribes e aveva quella fantesca, come si chiamava? Ah, sì, Delfina, minestroni fantastici», «Ah, grazie, neh, adesso i miei fanno schifo, eh?», «Ma cosa dici? È che allora la verdura era più saporita, più sana». Uno sbuffare: «I bei tempi andati, eh?». Silenzio. «Piuttosto, se vogliamo vendere bisognerà fare dei lavori, hai visto il bagno di sopra?», «Sì, sì, un po’ malmesso», «Malmesso? Antidiluvi­ano vuoi dire», «Ma quella vasca…», «Già, la vasca di ghisa con i piedini di leone brutta non è. Ma bisognereb­be rismaltarl­a, cambiare gli altri sanitari, le piastrelle». «Che peccato però», «Cosa?», «Smontare una casa così», «Uffa. Sai benissimo che non se lo compra nessuno un casone zeppo di teste di cinghiale e in un paesetto così noioso», «Trovi? Quand’ero ragazzino c’erano un mucchio di negozi, persino la bocciofila», «Uh, sai che divertimen­to», «E la festa di San Biagio. Facevano le friciule e le paste di meliga», «Ah, ma ti è scattata l’operazione nostalgia! Senti, se va messa a posto pensiamoci subito, altrimenti ci saltano le vacanze». Borbottio: «Mi sa che con quello che spenderemo le vacanze salteranno per i prossimi dieci anni», «Pensiamoci con calma, andiamo a… dove hai detto che andiamo?», «Be’, sono un po’ indecisa: a Panarea da Giancarlo e Luisa ci sarà già un mucchio di gente che se la tira». «Ma non s’era detto la Scozia?», «Ah, no, eh? Piove tutto il tempo e pensa che voglia ne ho di ficcarmi nella brughiera. No, no, piuttosto da mia cugina a Positano», «Con tutte quelle scale?», «O dai Martini a Laigueglia», «Eh, già, giusto per stare in pace col parcheggio». Pausa figurandos­i il lungomare tracimante di vigili e bambini. «Vieni, diamo un’occhiata al giardino». E così, eccoli nel prato davanti a casa ombreggiat­o da un enorme ippocastan­o che il nonno ha piantato nel ’48. Vialetti, siepi di mortella, un bersò invaso dal glicine. Quiete, silenzio, il sollievo di un benefico venticello. Trovano sotto il portico due poltroncin­e di bambù. Si siedono osservando la collina davanti. Poi lui ridacchia: «Dài, lo so benissimo che ti piace e che adori quella vasca di ghisa. Rimaniamo quassù, eh?».

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