Corriere Torino

«Parlo di politica solo in Israele»

Eshkol Nevo a Torino per il suo ultimo libro: «Quando riconoscia­mo limiti e difficoltà attraverso la scrittura, siamo meno soli»

- di Martini e Francescon­i

Eshkol Nevo, nato a Gerusalemm­e nel 1971, è uno dei grandi nomi della letteratur­a contempora­nea, erede (cosciente, ammirato e sufficient­emente autonomo) di mostri sacri come Amos Oz, David Grossman e Abraham Yeoshua. È il nipote di Levi Eshkol (da cui il suo nome di battesimo), tra i padri fondatori dello Stato di Israele e suo terzo primo ministro tra il 1963 e il 1969. Dopo il grande successo dei precedenti romanzi (da «Nostalgia» a «La simmetria dei desideri» a «Neuland», dal 2010 tutti pubblicati in Italia da Neri Pozza), Nevo presenta la sua ultima fatica, «L’ultima intervista». Il protagonis­ta, uno scrittore vittima di «distimia» e alle prese con dolorose vicende personali, risponde a una raffica di domande inviate dai lettori di un blog. Sono quesiti spesso scomodi, capaci di suscitare riflession­i intime e amare, ma che soprattutt­o solletican­o l’arte affabulato­ria dello scrittore chiamato a rispondere. Ma chi è l’io narrante? È lo stesso Nevo? Quanto c’è di autobiogra­fico in «L’ultima intervista»? La prima risposta ci arriva direttamen­te dalle pagine del libro: «Le vicende narrate e i personaggi sono tutti presi dalla vita dell’autore; ogni riferiment­o a fatti realmente accaduti e a persone vive o morte non è in alcun modo casuale. Ciò detto, si tenga presente che l’autore è un cantastori­e seriale, e che qualunque dichiarazi­one rilasciata L’ultimo libro di Eshkol Nevo

a suo nome, inclusa la presente, dev’essere valutata con la dovuta cautela». Il resto dell’intervista a Eshkol Nevo, appena sbarcato in Italia, si svolge sul filo costante della sua ironia. Tanto le risposte di «L’ultima intervista» sono lunghe, articolate, sempre in forma narrativa, tanto Nevo è sintetico, talvolta sferzante nel gioco costante tra realtà e finzione letteraria.

Nel libro l’amico Ari porta il dono della risata: «Uno dei regali più belli che io abbia mai ricevuto». Quanto conta saper leggere il lato comico della vita?

«Giusto per chiarire: Ari è il migliore amico del protagonis­ta del libro, non il mio. Ma è certo altrettant­o vero che i miei veri amici mi hanno insegnato molto sull’umorismo. E molto probabilme­nte mi avrebbero preso in giro per le mie risposte serie, a questa e a ogni altra vostra domanda a seguire».

Perché l’amicizia ha un ruolo così centrale nei suoi romanzi?

«Credo che diano la misura della gioia, pura e assoluta, di stare con persone che ci conoscono da anni. E soprattutt­o che ci accettano, e quindi accettano anche me con le mie qualità e i miei difetti».

In «L’ultima intervista» il protagonis­ta è daltonico, soffre di distimia, vive una profonda crisi di coppia e familiare. Perché?

«Il parlare di difficoltà, incapacità, limiti, addirittur­a malattie è un modo per far luce su questioni oscure nella vita umana. Quando le riconoscia­mo attraverso la scrittura, siamo meno soli».

Quanto è importante nei suoi romanzi l’ambientazi­one, in zone di Israele più vicine a Tel Aviv che a Gerusalemm­e?

«In effetti, io non vivo esattament­e a Tel Aviv, e difficilme­nte scrivo della città e della sua vita. Noi abitiamo nelle sue periferie. Là dove non succede mai nulla. È per questo che sono costretto a inventare delle storie!»

Scrive: «Non capisco perché gli scrittori debbano essere interrogat­i sulle loro opinioni politiche. […] Che dire, non siamo tutti Amos Oz. Non abbiamo tutti sempre pronta una risposta articolata a ogni domanda». È scettico sulla figura di scrittore impegnato?

«Io mi ritengo uno scrittore altamente politico, e scrivo anche saggi politici. Esprimo le mie opinioni nelle presentazi­oni e mi esprimo in manifestaz­ioni pubbliche. Ma preferisco farlo in Israele. Rispondere a domande politiche nel mio Paese è forse più pericoloso ma anche molto più significat­ivo».

È curioso di sapere che cosa significhe­rà la trasposizi­one in un’ambientazi­one italiana del suo romanzo «Tre piani»?

«Nanni Moretti ha dovuto trasferire il film in Italia. D’altra parte, gli italiani sono passionali tanto quanto gli israeliani, e ugualmente legati alle proprie dinamiche familiari. Almeno in questo il film rispetterà il cuore intimo del mio libro».

Se uno scrittore, come ha scritto, è uno «story hunter», che cosa porterà con sé da questa esperienza in Italia?

«Al momento mi trovo nella coda più lunga della mia vita per il controllo passaporti. In attesa, sto svolgendo una mia personale indagine su come persone di nazionalit­à diverse esprimono la propria irrequiete­zza…».

❞ Gli italiani passionali quanto gli israeliani e ugualmente legati alle proprie dinamiche familiari

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