Corriere Torino

«Fino all’ultimo si poteva evitare quella strage»

A un mese dallo scoppio di Quargnento parla Roberto Borlengo, il carabinier­e ferito

- Di Floriana Rullo

«In questo mese non ho mai smesso di pensare a quella notte. Sotto quelle macerie potevo morire anche io. Tutte le sere vado a letto ripetendom­i che questa tragedia non doveva accadere. Ma soprattutt­o che poteva essere evitata. Le ferite sul mio corpo stanno migliorand­o. Mi hanno ricostruit­o la mascella e l’orbita oculare. Non so ancora se riavrò la vista. Ma le ferite più profonde, quelle dell’animo, le porterò per sempre con me. Il dolore è ancora vivo. Anche se so di essere stato un miracolato». Roberto Borlengo, 31 anni, è il carabinier­e che si è salvato dall’esplosione avvenuta la notte tra il 4 e il 5 novembre scorso nella cascina Quargnento, ad Alessandri­a.

«In questo mese non ho mai smesso di pensare a quella notte. Sotto quelle macerie potevo morire anche io. Tutte le sere vado a letto ripetendom­i che questa tragedia non doveva accadere. Ma soprattutt­o che poteva essere evitata. Le ferite sul mio corpo stanno migliorand­o. Mi hanno ricostruit­o la mascella e l’orbita oculare. Non so ancora se riavrò la vista. Ma le ferite più profonde, quelle dell’animo, le porterò per sempre con me. Il dolore è ancora vivo. Anche se so di essere stato un miracolato». Roberto Borlengo, 31 anni, è il carabinier­e che si è salvato dall’esplosione avvenuta la notte tra il 4 e il 5 novembre scorso nella cascina in via San Francesco D’assisi, a Quargneto, ad Alessandri­a. Un crollo voluto da Giovanni Vincenti, arrestato qualche giorno dopo, nel tentativo di frodare l’assicurazi­one. Esplosione in cui persero la vita tre vigili del fuoco, Marco Triches, 38 anni, Antonio Candido 32 e

Matteo Gastaldo, di 46 e rimasero feriti Luca Trombetta, 35 anni, Giuliano Dodero,48. Oltre che lo stesso Borlengo. Era stato lui, sepolto sotto le macerie, a chiamare la centrale operativa, a dare l’allarme e fare partire così i soccorsi. «È esploso tutto, venite subito» aveva detto ai colleghi in una telefonata straziante. «Ho pensato di morire —racconta —. Era tutto buio. Ho avuto paura. Pensare che Vincenti era lì, a fianco a me e sapesse la verità mi fa solo rabbia. Spero nella giustizia. Ora il mio sogno è quello di poter indossare di nuovo la mia divisa».

Borlengo è trascorso un mese dalla tragedia, come sta adesso?

«Sto migliorand­o. Mi hanno ricostruit­o la mascella e l’orbita oculare. Continuo con le visite mediche e sono in convalesce­nza. Non so però se potrò riavere la vista dell’occhio ferito. I medici per ora non si sbilancian­o. Dicono ci vorranno mesi perché si riassorba l’ematoma. Ma io sono ottimista. Le ferite più dolorose però sono quelle che porto dentro. Da un mese penso che quella tragedia si poteva evitare. Penso ai tre vigili del fuoco morti sotto quelle macerie. Potevo esserci anche io. Potevo non tornare a casa. Bastava essere qualche metro più avanti. So di essere stato un miracolato».

Con la sua chiamata ha però salvato gli altri feriti, è stato un eroe.

«Ho fatto l’unica cosa che doveva essere fatta. Di quella chiamata ricordo poco. Ai colleghi ho raccontato quello che era successo. Che era esploso tutto, che avevo perso un occhio. Che perdevo tanto sangue. Avevo un piede sotto le macerie. Era buio. Ho avuto paura. Gli altri erano tutti sotto le rovine della cascina. Ma ho risentito quella registrazi­one una sola volta. Mi fa effetto ascoltare le voci degli altri sopravviss­uti chiedere aiuto».

A chi ha pensato in quei momenti?

«Ai miei genitori. A mio padre Marco. A mia mamma. Al telefono ho chiesto al collega di dire loro, se non fossi tornato, che gli volevo un mondo di bene. Ho avuto paura di morire e so che anche loro hanno avuto timore non tornassi. Da allora non mi hanno lasciato un momento. Sono sempre al mio fianco. E li ringrazio per questo».

Gianni Vincenti era lì, vicino a lei. Era arrivato poco dopo lo scoppio. Che cosa ha pensato quando ha saputo che a fare esplodere la cascina era stato lui?

«Mi fa rabbia. Pensare che sapeva di aver piazzato sette bombole e che erano pronte ad esplodere. Che non lo ha detto. Ma soprattutt­o che sono morti tre innocenti. Quello è il rammarico più grande. Bastava una parola e quelle morti si potevano evitare. Ma sarà la giustizia a fare il suo corso».

Ha sentito Luca Trombetta e Giuliano Drodero, gli altri due feriti?

«Si, ci sentiamo spesso. Stanno meglio. Con Luca Trombetta siamo stati ricoverati insieme ad Asti. Ora pensa di tornare a lavoro già dopo le feste. Spera di poter indossare la sua divisa. Anche per lui il primo pensiero è stata la moglie. In fondo promettiam­o sempre ai nostri cari di tornare a casa».

E lei invece che cosa spera?

«Io non vedo l’ora di poter rientrare a lavoro. Voglio tornare a indossare la mia divisa. Ho fatto tanto per entrare nell’arma. Questi episodi ti toccano nel profondo. Ma ho fatto una scelta di vita e voglio portarla avanti. So che non devo avere fretta, ci vorranno mesi. Ma è il mio obiettivo. L’arma mi ha dato tanto. Non mi ha mai lasciato solo in questo mese. Ora approfitto per trascorrer­e il Natale in famiglia. Poi appena potrò vorrei tornare in servizio. In strada con i miei colleghi che tutti i giorni lavorano per garantire la sicurezza agli altri. Questo lavoro l’ho sempre sognato. Fin da quando ero piccolo. E voglio tornare a farlo».

Per tutto questo mese non ho mai smesso di pensare a quella notte Il mio corpo sta lentamente migliorand­o, ma le ferite dell’animo restano. E questo nonostante sia una persona molto positiva So di essere stato un miracolato Se Vincenti, il proprietar­io della cascina, avesse detto delle bombole dopo la prima esplosione adesso i tre vigili del fuoco sarebbero vivi Mi fa rabbia. Pensare che Vincenti sapeva di aver piazzato sette bombole e che erano pronte ad esplodere. E non lo ha detto. Bastava una parola e quelle morti si potevano evitare

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