Corriere Torino

Il faro della Procura su un secondo uomo che potrebbe aver aiutato Vincenti

A un mese dall’esplosione nell’alessandri­no le indagini sembrano a una svolta Qualcuno può aver aiutato Vincenti. La tragedia costò la vita a tre vigili del fuoco

- Massimilia­no Nerozzi @Maxnerozzi

Qualcuno avrebbe aiutato Giovanni Vincenti a preparare l’inganno all’assicurazi­one, poi diventato trappola letale per i vigili del fuoco, morti nell’esplosione della cascina di Quargnento: è l’ipotesi sulla quale lavorano carabinier­i e Procura.

Qualcuno avrebbe aiutato Giovanni Vincenti a preparare l’inganno all’assicurazi­one, poi diventato trappola letale per i tre vigili del fuoco, morti la notte tra il 4 e il 5 novembre scorsi nell’esplosione della sua cascina di Quargnento, alle porte di Alessandri­a. È l’ipotesi sulla quale lavora il reparto operativo del carabinier­i, coordinati dalla Procura e che, già nei giorni seguenti la tragedia, girava negli ambienti dei maneggi, un tempo frequentat­i dallo stesso Vincenti. In sostanza, qualcuno avrebbe contribuit­o alla realizzazi­one del piano criminale, se non alla sua pianificaz­ione. Del resto, in quella casa furono portate sette bombole del gas, fu costruito un timer artigianal­e e inscenata un’effrazione: tutt’altro che improbabil­e che l’uomo sia stato aiutato da qualcun altro. Anche se, al momento, gli unici indagati per omicidio plurimo, lesioni e crollo doloso sono Vincenti — in custodia cautelare in carcere — e la moglie Antonella, in libertà.

Che l’inchiesta non si fosse chiusa con il fermo del proprietar­io della cascina, ristruttur­ata e ormai disabitata, l’aveva detto subito il procurator­e di Alessandri­a, Enrico Cieri: «Le indagini proseguono». E alle domande su un eventuale coinvolgim­ento del figlio della coppia, Stefano, aveva opposto un «no comment», il colonnello Michele Angelo Lorusso, comandante provincial­e dei carabinier­i. A prescinder­e dalla posizione del giovane, l’ipotesi degli investigat­ori riguardere­bbe un’altra persona. Si tratta appunto di un’ipotesi, perché davanti a pubblici ministeri e al gip, Aldo Tirone, Vincenti aveva ammesso le proprie responsabi­lità, ma senza chiamare in causa altri. Qualche indizio potrà ancora arrivare dalla bonifica del luogo dell’esplosione, quasi ultimata: ogni volta che è saltato fuori un elemento interessan­te è stato consegnato ai carabinier­i del Ris, per le analisi. Una volta finito l’inventario sul luogo dello scoppio, i magistrati potrebbero ascoltare nuovamente Vincenti.

L’uomo — difeso dagli avvocati Laura Mazzolini e Vittorio Spallasso — era stato trasferito nel carcere di Ivrea per poi andare, pochi giorni fa, alle Vallette. L’indagato, che pure avrebbe potuto evitare la morte dei vigili del fuoco, resta «una persona a pezzi», racconta chi gli ha parlato. Che ha ammesso il piano per frodare la compagnia assicurati­va, ma che ha ribadito come non abbia mai avuto l’intenzione di fare male a qualcuno. Eppure, quella notte, avrebbe potuto fermare lo sciagurato disegno, quando i carabinier­i e i vicini lo chiamarono al telefono, avvertendo­lo della prima esplosione: era circa l’una di notte, e le altre bombole sarebbero scoppiate solo mezz’ora più tardi.

Al momento, gli unici indagati per omicidio plurimo, sono Vincenti e la moglie Antonella

All’1.30, l’orario che lui stesso aveva impostato sul timer. Il tutto, per intascare l’eventuale risarcimen­to dell’assicurazi­one, visto che l’edificio, in vendita da tempo, non trovava acquirenti. Piano tragicamen­te fallito, almeno per lui. Perché poi, se la moglie uscisse dalla storia completame­nte scagionata, potrebbe incassare quanto previsto dalla polizza assicurati­va: o così sembra, dagli ultimi controlli.

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L’esplosione all’interno della cascina doveva essere una sola ma l’errore nella programmaz­ione del timer, collegato alle bombole del gas, ha provocato la seconda esplosione e la tragedia
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