Un indirizzo «finto» per le donne violentate
Residenza in via Corte d’appello 16, alle Pari Opportunità. Per sfuggire agli aggressori e rifarsi una vita
Sarà via Corte d’appello 16 la casa delle donne che scappano dai propri aguzzini. A Torino, e in particolare nella sede dell’assessorato ai Diritti del Comune, nasce la prima residenza fittizia in Italia per le vittime di violenza e stalking. E il suo nome sarà «Casa Marti», in onore di Marti Gianello Guida, l’attivista e poeta torinese recentemente scomparsa dopo aver lottato duramente contro un cancro che l’ha portata via. L’anno scorso tutti i centri anti violenza di Torino hanno ricevuto richiesta di aiuto da 1900 donne; di questi, quello comunale ne ha avvicinate 170, che nel 2019 (non ancora finito) sono diventate 220: «Perché è un fenomeno in continua crescita», sottolinea la responsabile del centro, la dottoressa Patrizia Campo.
Sarà via Corte d’appello 16 la casa delle donne che scappano dai propri aguzzini. A Torino, e in particolare nella sede dell’assessorato ai Diritti del Comune, nasce la prima residenza fittizia in Italia per le vittime di violenza e stalking. E il suo nome sarà «Casa Marti», in onore di Marti Gianello Guida, l’attivista e poeta torinese recentemente scomparsa dopo aver lottato duramente contro un cancro che l’ha portata via.
L’anno scorso tutti i centri anti violenza di Torino hanno ricevuto richiesta di aiuto da 1900 donne; di questi, quello comunale ne ha avvicinate 170, che nel 2019 (non ancora finito) sono diventate 220.
«Perché è un fenomeno in continua crescita», sottolinea la responsabile del centro, la dottoressa Patrizia Campo. Tra queste ci sono donne che scappano, ma che non hanno bisogno di rimanere nelle case rifugio. Donne che vogliono iscrivere il proprio bambino a scuola, avere un’assistenza sanitaria, votare. Ma che non vogliono e non possono essere trovate da chi le perseguita. Dal 2012, infatti, quando è stata istituita l’anagrafe nazionale di tutta la popolazione residente, gli sportelli sono tenuti a dare informazioni sensibili ai soggetti giuridicamente interessati che le richiedono: un marito, ad esempio, può sapere dove abita l’ex moglie.
«Ma per ottenere una residenza segreta serve un parere della magistratura, non è quindi un passaggio semplice e scontato», sottolinea l’assessore ai Diritti Marco Giusta. Da qui, l’idea arrivata dal Centro antiviolenza della Città: «Sono state le stesse donne a richiedercelo. Perché senza la residenza non si ha accesso a una serie di diritti necessari per affrancarsi dalla propria situazione e raggiungere l’autonomia», sottolinea Campo.
E così, Palazzo Civico ha sposato l’idea: «In questo modo — afferma la sindaca Chiara Appendino — eliminiamo una barriera non solo amministrativa, ma che incide sulla vita delle donne che già decidono di esporsi denunciando. Un atto politico, per due motivi: il primo, perché vede vari assessorati coinvolti; il secondo perché credo — e spero — che porti ancora una volta Torino, dopo la questione delle trascrizioni dei figli di coppie omosessuali, a fare scuola nelle altre città: noi possiamo accogliere solo le donne che effettivamente risiedono qua. E il fatto che la soluzione arrivi dagli uffici ci rende molto orgogliosi».
Un orgoglio condiviso dall’assessore Marco Giusta: «Con Casa Marti semplificheremo la vita delle persone con un “semplice” atto amministrativo».
Via Corte D’appello 16 nasce anche dall’esempio che tempo fa ha ispirato la residenza torinese fittizia per i senza fissa dimora, quella via della Casa Comunale 1 poi diventata via Lia Varesio, in onore di colei che ha dedicato la vita ai poveri di Torino. Ma le donne vittime di violenza, vogliono che la loro situazione sia riconosciuta e riconoscibile?
«L’esigenza di avere una residenza e i diritti ad essa legati — sottolinea Campo — è più forte di tutto il resto. E, soprattutto, non sono loro che dovrebbero vergognarsi della propria situazione: serve un cambiamento culturale. E questo non è altro che un atto di coraggio».