Corriere Torino

L’energia di Torino batterà il razzismo

Il caso di Eniola e la città che deve scrollarsi di dosso la paura

- Di Claudio Marchisio

Da torinese innamorato di questa città, leggere sul «The Guardian» l’articolo di Eniola Aluko non è stato facile né bello. Eni, fortissima attaccante inglese da un anno e mezzo in forza alla Juve, annunciava il suo addio alla Vecchia Signora per tornare in patria con sei mesi di anticipo sulla scadenza del contratto. Il motivo principale della scelta: l’accoglienz­a difficile e diffidente di Torino. Eni ha origini nigeriane ed è di colore, e ha parlato di una discrimina­zione strisciant­e che in più occasioni l’ha ferita. Leggere questo genere di testimonia­nza non può che fare male. Davvero è questa la mia citta? La mia Torino? Eppure, superato lo smarriment­o iniziale, non si può non cogliere nelle sue parole lo spirito dei tempi nel nostro Paese e non solo.

Una comunicazi­one politica violenta, l’alimentazi­one delle legittime paure delle persone, l’incertezza alimentata da un contesto economico non facile stanno portando tutti noi alla chiusura, alla durezza e all’ostilità, soprattutt­o verso coloro che non riconoscia­mo come immediatam­ente affini. E’ una deriva pericolosa e va chiamata con il suo nome: razzismo.

Una parola che nella mia carriera è balzata fuori tantissime volte, forse anche troppe. Ma perché? Nel mondo del calcio troviamo tanti giocatori stranieri, di colori, atteggiame­nti e religioni diverse, giocatori con cui ho diviso per anni lo spogliatoi­o condividen­do storie personali e relazioni umane sincere. Possibile che questo bellissimo melting-pot non possa fungere davvero da volano per ampliare le vedute di tutti, per educarci alla diversità e all’apertura? Possibile che per certi tifosi (pochi per fortuna) l’insulto razziale sia ancora un modo per sostenere la propria squadra o per “sfottere” gli avversari? In questo senso ha ragione Eni quando dice che sembriamo indietro di 20 anni.

Allo stesso tempo, però, i segnali positivi ci sono e vanno sottolinea­ti, promossi, divulgati e incoraggia­ti. E qui ci tengo a spendere qualche parola per Torino, che non è la città chiusa, spenta e diffidente che purtroppo Eni ha percepito. Questa è una città piena di energie positive e di umanità straordina­ria, piena di esperienze di generosità e di integrazio­ne di successo, piena di slancio nonostante tutto. Basti pensare alle centinaia di associazio­ni che lavorano per l’inclusione sociale dei più deboli (dunque anche i migranti), alle innumerevo­li iniziative culturali, artistiche e sportive che in ogni quartiere tengono vivo un tessuto di comunità che nel mondo accelerato di oggi sono un’ancora di salvezza per moltissime persone.

Per chi come me e come la maggior parte dei lettori di questo giornale è un bianco in un paese europeo, credo sia estremamen­te difficile poter immaginare che cosa significhi ricevere sguardi diffidenti, battutine o peggio insulti per il colore della propria pelle. Possiamo provarci ma non credo arriveremo mai a percepire questo dolore costante. Eppure, l’unica strada che abbiamo è quella di insistere a cercare di indossare i panni di chi non ha la nostra fortuna o di chi sempliceme­nte è ogni giorno costretto a “giustifica­rsi” per il proprio aspetto. Quello che noi possiamo fare è non minimizzar­e, non chiamare goliardia il razzismo, non chiamare tifo la discrimina­zione. Da questo punto di vista l’articolo di Eni è uno stimolo e per questo dobbiamo esserle grati. Non è ammissibil­e abbassare la testa davanti all’ignoranza, e ciascuno di noi può fare qualcosa nel proprio piccolo. Il suo è un segnale forte, Torino e tutta l’italia devono riflettere e mostrare il meglio di sé.

Eni ha avuto parole bellissime per la Juventus e per la sua esperienza sportiva, e sono certo che la prossima volta che verrà in città avrà modo di scoprirne le bellezze più nascoste, fatte delle persone meraviglio­se che la abitano e la animano. Ma Torino deve scrollarsi di dosso la paura per il diverso, per lo straniero, per l’altro. Perché se Eni è una ragazza che ha cultura, talento e possibilit­à enormi e dunque ha tutte le carte in regola per reagire, non dobbiamo dimenticar­e che la maggior parte dei migranti non ha gli stessi strumenti, non può decidere di lasciare il paese, non può scrivere su un giornale, non può cercare la propria realizzazi­one altrove. Una condizione che, non dobbiamo dimenticar­lo, riguarda anche molti ragazzi italiani che si spingono all’estero per cercare un futuro migliore e che, se non per il colore della loro pelle, in un mondo spaventato rischiano comunque di essere soli e per sempre stranieri. Questa è la partita che Torino e l’italia devono vincere nei prossimi anni.

Il carattere Questa non è la città chiusa, spenta e diffidente che purtroppo Eni ha percepito

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy