Corriere Torino

«Il reddito di cittadinan­za non dà lavoro»

La denuncia della vicesindac­a Schellino, M5S

- Ricci

«Il reddito di cittadinan­za non ha ancora creato posti di lavoro». Lapidaria, secca. Ma parte di un’amministra­zione a 5 Stelle. Ad affermarlo, infatti, è l’assessora al Lavoro, nonché vicesindac­a della giunta Appendino, Sonia Schellino. E dire che quella misura è stata, e continua a essere, il cavallo di battaglia dei pentastell­ati. «I centri per l’impiego — spiega — per il momento non stanno trovando occupazion­e attraverso i meccanismi previsti dal reddito. Questo non avviene, da una parte, perché non ci sono sufficient­i posti di lavoro, dall’altra perché l’incontro tra la domanda e l’offerta è difficile — nonostante i navigator». E, in effetti, i numeri a livello nazionale non sono confortant­i: lo Stato ha speso tre miliardi, ma i contratti firmati sono stati solo mille.

«Il reddito di cittadinan­za non ha ancora creato posti di lavoro». Lapidaria. Ma parte di un’amministra­zione a 5 Stelle. Ad affermarlo è l’assessora al Lavoro, nonché vicesindac­a della giunta Appendino, Sonia Schellino. E dire che quella misura è stata, e continua ad essere, il cavallo di battaglia dei pentastell­ati. «I centri per l’impiego — spiega — per il momento non stanno trovando occupazion­e attraverso i meccanismi previsti dal reddito. Questo non avviene, da una parte, perché non ci sono sufficient­i posti di lavoro, dall’altra perché l’incontro tra la domanda e l’offerta è difficile — nonostante i navigator». E, in effetti, i numeri a livello nazionale non sono confortant­i: lo Stato ha speso tre miliardi, ma i contratti firmati sono stati solo mille. Nonostante siano 700 mila i beneficiar­i che possono sottoscriv­ere il «patto per il lavoro». Le motivazion­i sono molteplici. Da una parte, i navigator — coloro che dovrebbero prendere in carica il disoccupat­o dal centro per l’impiego fino all’assunzione — non hanno gli strumenti informatic­i necessari per svolgere il proprio compito. Dall’altra, molti beneficiar­i non hanno le competenze utili neppure per trovare un lavoro umile: il 70 per cento di loro non ha terminato gli anni di scuola obbligator­ia. Di conseguenz­a, le aziende li prendono solo per impieghi precari. E non per il tempo indeessere terminato, com’era nelle speranze dei grillini. «Spesso — continua Schellino — i centri per l’impiego rimbalzano le persone ai servizi sociali: noi possiamo essere, certo, collaborat­ivi; ma il Comune non è un ufficio di collocamen­to. Non dico che il reddito di cittadinan­za non stia funzionand­o completame­nte: molte persone riescono a pagare i propri debiti. Ma se uno si siede e rifiuta le occupazion­i che gli vengono proposte, smette di essere un buono strumento: i beneficiar­i non possono assistiti a vita. Quello che manca — ribadisce l’assessora — è l’attivazion­e del secondo step legato ai centri per l’impiego».

Parole che Claudio Spadon, il direttore dell’agenzia Piemonte Lavoro, rimanda al mittente: «I centri — afferma — stanno facendo il loro mestiere secondo quanto previsto, e questo nonostante manchino dei decreti applicativ­i dal punto di vista normativo e i sistemi informatic­i non siano ancora adeguati. Abbiamo lavorato tutta l’estate senza navigator e abbiamo preso in carico tutte le persone beneficiar­ie di reddito che

Inps e Anpal a livello nazionale ci hanno indicato. Ovviamente — continua Spadon — ci sono casi di persone che non si sono presentate, e che noi segnaliamo. Ma in ogni caso, noi stiamo facendo tutto ciò che dobbiamo. E i dati lo dimostrano». In Piemonte sono 108 mila le persone che percepisco­no il reddito di cittadinan­za, mentre a Torino ricevono la misura di sostegno al reddito 17 mila persone. Di questi, secondo i numeri dell’anpal, i convocati dai centri dell’impiego sul territorio regionale sono stati 28 mila e 500, dei quali sei mila sulla Città. Convocati significa che sono stati incontrati o è stato fissato un appuntamen­to. Ma da qui alla firma di un contratto per un posto di lavoro c’è un mare fatto di difficoltà, problemati­che e un sistema che fa fatica a ingranare.

Le difficoltà Spesso i soggetti non hanno titoli di studio Le aziende li prendono solo per posti precari

La replica Spadon, dell’agenzia regionale: «Facciamo il nostro dovere rispettand­o le norme»

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